3 anni e mezzo circa, è questo il lungo tempo trascorso senza Yara ed alla ricerca estenuante del suo assassino.
Il 16 giugno scorso la svolta che interrompe l’attesa lunga ed estenuante: Massimo Giuseppe Bossetti, carpentiere edile di Mapello, finisce in manette con l’accusa di essere Ignoto 1, il presunto assassino di Yara Gambirasio.
Il DNA isolato sugli indumenti della vittima è la prova regina: le piccole gocce di sangue, impresse sui pantaloni di Yara e sulle sue mutandine, rappresenterebbero la firma chiara e inequivocabile dell’assassino.
Bossetti però non conferma la pista tracciata e guidata dalle prove scientifiche, anzi, contro ogni evidenza e contro ogni logica, l’indiziato numero 1 continua a dichiararsi innocente.
E’ dal momento del fermo di Bossetti (o più precisamente dal momento in cui il cerchio non si chiude con una “possibile” confessione) che gli inquirenti sezionano la vita del carpentiere di Mapello.
- Gli investigatori stanno passando al microscopio la sua casa, i suoi celulari e le schede telefoniche;
- stanno scandagliando tra amicizie vecchie e nuove;
- stanno considerando tutte le sue abitudini personali e professionali;
- e stanno esaminando la più intima realtà familiare di Bossetti, i rapporti con le persone che lo hanno amato, accompagnato e circondato in questi anni.
L’obiettivo ultimo che le indagini perseguono è chiaro: gli inquirenti vogliono capire dove e come Massimo Giuseppe celasse il suo segreto (posto che la linea accusatoria è palese ed identifica Bossetti come l’assassino di Yara).
Così, mentre Bossetti nega di essere coinvolto della morte della giovane ginnasta, le indagini proseguono con lo scopo chiaro di associare al DNA quante più prove coincidenti è possibile.
L’opinione pubblica assiste alla continua fuga di indiscrezioni e percepisce una reale ansia investigativa di confermare, laddove fosse necessario, persino il DNA.
Ma se il DNA è la prova inconfutabile per antonomasia cos’altro potrebbe “incastrare” Bossetti?
Le responsabilità di Massimo Giuseppe potrebbero dirsi “certe senza alcun ragionevole dubbio” se gli inquirenti trovassero tracce inequivocabili di Yara nei telefoni dell’indiziato, nel suo personal computer o addirittura nella sua macchina o nel suo furgone.
In mancanza di una confessione, libera e piena, è necessario ricostruire intorno al DNA tutta la dinamica del delitto.
Evidentemente, in questo scenario, le prove cosiddette di laboratorio assumono un ruolo chiave.
La macchina di Bossetti come il furgone cassonato che il carpentiere adoperava per lavoro sono sotto sequestro e su di essi sono stati raccolti ben 100 reperti tutti al vaglio degli inquirenti.
Ma dopo 3 anni e mezzo è possibile che qualche traccia del delitto, eventualmente commesso dall’indiziato, si conservi sul suo furgone e nella sua auto?
Sì è possibile.
Non è escluso che a distanza di tanto tempo si possano isolare tracce importanti di un delitto e persino del sangue.
Ha un rilevante peso specifico l’ultima indiscrezione relativa agli esami condotti sul furgone di Massimo Giuseppe Bossetti:
posto che il furgone Iveco Daily appartiene a Bossetti ed è il mezzo con cui il carpentiere lavorava e col quale, stando all’accusa, avrebbe rapito Yara, non è di poco conto la notizia secondo cui i sedili di questo furgone cassonato sarebbero stati sostituiti.
Bossetti potrebbe aver cambiato i sedili del suo furgone da lavoro, nel farlo li avrebbe sostituiti non con sedute nuove ma con dei sediolini comperati allo scasso.
La domanda è logica: perché Bossetti avrebbe sostituito i sedili del suo Iveco Daily con altri sediolini uguali ma vecchi, comperati cioè dalle mani di uno sfasciacarrozze?
Fonte: Giallo – Cairo editore n°30 del 30 luglio 2014