Mio figlio ha 7 anni, è un cervellone , uno di quei bambini che la scienza moderna definisce cerebrotonico ovvero più portato all’azione cerebrale (al pensiero) che non a quella fisica (al movimento), tradotto in termini comuni e meno sofisticati è un bambino che tra una partita di pallone e un cluedo sicuramente sceglie il gioco da tavola.
Spesso i nostri bambini sono il risultato del percorso educativo e motivazionale che fanno e che noi li spingiamo a fare, mio figlio gioca a tennis ma ama leggere, far di conto e con grinta si impegna nelle sfide mentali, un approccio alla vita, questo cerebrale e “scientifico”, che certamente ha mutuato dalla mamma e dal papà e che nasce anche dalle ore trascorse a raccontarci storie, a leggere libri, a studiare la scienza, a vedere documentari.
Il risultato ultimo è che il mio bambino è, in fin dei conti, un pacifico scienziato in erba.
Questo pomeriggio al campo estivo della scuola, il mio baby cervellone, mentre sperimentava il ballo ha fatto un bel ruzzolone e ha sperimentato il dolore di una sana sbucciatura.
L’educatrice che me lo ha consegnato ci ha tenuto a chiarire la natura della traccia dell’infortunio ben visibile sulla gamba. Davanti al mio sorriso l’ho trovata incredula, non sono matta sono solo contenta che mio figlio sperimenti la fisicità e non drammatizzo una caduta.
Così parlando dell’importanza di ridimensionare i comuni “incidenti” della crescita, ho raccontato all’educatrice del mio secondo parto:
quando arrivai nella struttura sanitaria per il ricovero portavo in braccio mio figlio (l’attuale settenne cervello che allora era un cucciolo di 17 mesi, i miei figli sono 2 quasi gemelli), l’ostetrica che mi venne in contro mi “strappò il bambino dalle braccia” non facendosi capace del “coraggio” con cui mi portavo un fagotto in braccio mentre andavo a partorire.
Ebbene le parole dell’ostetrica mi sono sempre rimaste impresse, in senso negativo perché fondamentalmente ho sempre avversato quella posizione: il parto, la gravidanza e la crescita sono tutti fenomeni naturali di cui non dobbiamo avere paura, spesso la società moderna è asfissiata da una serie di sovrastrutture che ci inducono ad essere oltremodo ansiosi e spaventati.
Liberarsi da certe sovrastrutture e fare un passo indietro può servire, con la giusta dimensione delle cose, a liberare i bambini, può garantire loro una più giusta e corretta percezione della vita e può aiutare i genitori a gioire della crescita dei figli senza nutrirsi di timori ingiustificati.
Per parte mia biasimo i genitori che portano i figli in moto senza casco, ma biasimo anche chi nega al bambino il bagno nella piscina della scuola per paura dei “microbi”;
non condivido il genitore che inculca al figlio adolescente ogni sorta di paura e diffidenza verso il prossimo negando che al primo innamoramento adolescenziale il castello di precetti imposti cadrà, ma non condivido nemmeno chi si fa paladino di libertà di esperienza eccessive che sfociano spesso nella totale mancanza di controllo;
non aderisco alla concezione dell’educazione fondata sul “DNA caratteriale” propria di chi asserisce che i bambini hanno un loro carattere e che l’indole non si cambia, credo piuttosto che il compito di noi genitori sia potenziare, arricchire e rafforzare orientando e modificando, se necessario, anche l’indole.
Penso però pure a come crescevamo noi con molte meno sovrastrutture educative, nel rispetto delle regole base, più rigide e meno occasionali, ma con una massima e sempre rinnovata fiducia nel futuro.
Oggi ai genitori prima e ai figli dopo manca proprio la fiducia nel futuro e la fiducia nel prossimo.
Così tornado a casa, dopo la scuola, portando i miei figli in macchina stretti ben bene nelle loro cinture di sicurezza, pensavo al discorso tra me e l’educatrice; pensavo alle sovrastrutture culturali che si fanno eccesso di ansia quando una sbucciatura si trasforma in un trauma e una piscina in un’arma batteriologica per la distruzione di massa.
La società contemporanea ci ha fatto perdere di vista il buon senso e ci ha reso guardinghi, ansiosi e sospettosi, tal volta oltremodo!
Una volta a casa ho letto il testo che segue su Facebook e in qualche misura ho trovato conferma delle mie riflessioni da mamma, questo messaggio messaggio, che è apparso sulla mia bacheca, è stato un “segno del destino”, una continuazione delle poche battute scambiate con l’educatrice, e così ve lo propongo sulla scorta delle mie riflessioni da mamma:
1.- Da bambini andavamo in auto che non avevano cinture di sicurezza né airbag…
2.- Viaggiare nella parte posteriore di un furgone aperto era una passeggiata speciale e ancora ne serbiamo il ricordo…
3.- Le nostre culle erano dipinte con colori vivacissimi, con vernici a base di piombo.
4.- Non avevamo chiusure di sicurezza per i bambini nelle confezioni dei medicinali, nei bagni, alle porte.
5.- Quando andavamo in bicicletta non portavamo il casco.
6.- Bevevamo l’acqua dal tubo del giardino invece che dalla bottiglia dell’acqua minerale…
7.- Trascorrevamo ore ed ore costruendoci carretti a rotelle ed i fortunati che avevano strade in discesa si lanciavano e, a metà corsa, ricordavano di non avere freni. Dopo vari scontri contro i cespugli, imparammo a risolvere il problema. Sì, noi ci scontravamo con cespugli, non con auto!
8.- Uscivamo a giocare con l’unico obbligo di rientrare prima del tramonto. Non avevamo cellulari… cosicché nessuno poteva rintracciarci. Impensabile….
9.- La scuola durava fino alla mezza, poi andavamo a casa per il pranzo con tutta la famiglia (si, anche con il papà).
10.- Ci tagliavamo, ci rompevamo un osso, perdevamo un dente, e nessuno faceva una denuncia per questi incidenti. La colpa non era di nessuno, se non di noi stessi.
11.- Mangiavamo biscotti, pane olio e sale, pane e burro, bevevamo bibite zuccherate e non avevamo mai problemi di sovrappeso, perché stavamo sempre in giro a giocare…
12.- Condividevamo una bibita in quattro… bevendo dalla stessa bottiglia e nessuno moriva per questo.
13.- Non avevamo Playstation, Nintendo 64, X box, Videogiochi , televisione via cavo con 99 canali, videoregistratori, dolby surround, cellulari personali, computer, chatroom su Internet … Avevamo invece tanti AMICI.
14.- Uscivamo, montavamo in bicicletta o camminavamo fino a casa dell’amico, suonavamo il campanello o semplicemente entravamo senza bussare e lui era lì e uscivamo a giocare.
15.- Si! Lì fuori! Nel mondo crudele! Senza un guardiano! Come abbiamo fatto? Facevamo giochi con bastoni e palline da tennis, si formavano delle squadre per giocare una partita; non tutti venivano scelti per giocare e gli scartati dopo non andavano dallo psicologo per il trauma.
16.- Alcuni studenti non erano brillanti come altri e quando perdevano un anno lo ripetevano. Nessuno andava dallo psicologo, dallo psicopedagogo, nessuno soffriva di dislessia né di problemi di attenzione né d’iperattività; semplicemente prendeva qualche scapaccione e ripeteva l’anno.
17.- Avevamo libertà, fallimenti, successi, responsabilità … e imparavamo a gestirli.
La grande domanda allora è questa:
Come abbiamo fatto a sopravvivere? E a crescere e diventare grandi?
Il testo porta una firma celebre, è una citazione di Paulo Coelho