Ieri sera allo Stadio Olimpico di Roma doveva essere disputata la finale di Coppa Italia, in campo dovevano affrontarsi Napoli e Fiorentina; la Coppa doveva testimoniare la magia del calcio spettacolo e avrebbe dovuto celebrare una squadra, un club, una tifoseria e una città.
In sintesi ieri sera tutti avrebbero voluto partecipare ad uno spettacolo sportivo.
Le aspettative del pubblico sugli spalti, dei giornalisti, delle squadre come le attese dell’italiano medio o del telespettatore straniero sono state però tradite: è andata in scena un’altra “tragedia all’italiana”.
La partita è stata preceduta da un gravissimo episodio di violenza avvenuto all’esterno dello stadio:
4 colpi di pistola sono stati esplosi da un tifoso della Roma contro un gruppo di tifosi del Napoli.
Le condizioni di uno dei tifosi raggiunti dai colpi di pistola si sono dimostrate subito gravissime, tanto che il ricovero del giovane napoletano è avvenuto in codice rosso.
E (dato importantissimo da poco confermato da Giletti durante la puntata odierna de “L’Arena”) nello stadio gremito di tifosi (in tutto c’erano 60mila spettatori), qualcuno ha alimentato e diffuso la voce che il napoletano, vittima della sparatoria, fosse addirittura morto.
Il ragazzo è vivo, ottima è stata l’assistenza dei sanitari. Sempre nel corso della trasmissione di Giletti, si è persino appreso che il giovane avrebbe firmato di suo pugno il consenso informato all’operazione che dovrà subire nelle prossime ore.
L’operazione chirurgica che il giovane tifoso napoletano si appresta ad affrontare sarà delicatissima, servirà a garantirgli le migliori condizioni di sopravvivenza e di ripresa fisica. E’ certo però che questo ragazzo ha corso un rischio inconcepibile: non si può rischiare di morire per andare a vedere una partita di calcio.
Di fatto la sparatoria fuori dallo stadio, il ferimento dei tifosi napoletani e la notizia che uno di loro rischiasse la vita hanno determinato un clima da guerriglia all’interno dell’Olimpico. In un primo momento si parlava di scontri tra tifoserie, le voci si rincorrevano con concitato fermento e la verità non ha raggiunto subito le orecchie dei tifosi.
I protagonisti di questa vicenda difficile da sintetizzare sono sostanzialmente 3:
- il giovane ferito da uno sparo esploso contro un gruppo di tifosi napoletani;
- il “rappresentante” della tifoseria napoletana che ha “trattato” con il capitano della squadra partenopea;
- la società calcio Napoli.
Esaminiamo il ruolo di questi diversi protagonisti partendo dall’analisi dell’evento scatenante:
com’è avvenuta la sparatoria?
Diego Parente, capo della Digos ha ridisegnato le dinamiche della sparatoria avvenuta ieri:
intanto è opportuno chiarire che non vi è stata o nessun agguato ordito contro i tifosi napoletani, un singolo tifoso della Roma (che per altro è più volte stato protagonista di episodi esposti alla pubblica attenzione) ha messo in atto un’azione provocatoria verso la tifoseria napoletana, comportamento degenerato nella tragedia.
Lo scontro dunque non ha coinvolto la tifoseria fiorentina e sostanzialmente nemmeno quella napoletana: la sparatoria è nata dalla reazione (anche del tutto naturale o istintiva) ad una provocazione messa in campo da un singolo uomo romano, tifoso della Roma.
– Il tifoso della Roma ha raggiunto la tifoseria napoletana in un viale in cui i sostenitori degli azzurri stavano transitando per recarsi allo stadio, lì ha messo in essere attività provocatorie anche attraverso il lancio di artifici pirotecnici contro i napoletani.
– Alcuni tifosi azzurri, purtroppo, hanno raccolto la provocazione ed hanno inseguito il romano in un vicolo, questi sopraffatto e esagitato, dopo essere scivolato, ha esploso dei colpi di pistola contro i napoletani.
Tutto è stato causato da un solo romano che armato di una pistola si è “messo contro” la tifoseria napoletana mentre i sostenitori azzurri semplicemente e normalmente raggiungevano lo stadio.
<<Che fosse solo o in compagnia, – ha dichiarato Parente (dichiarazione riportata testualmente dal Corriere dello Sport)– l’unico ad aver agito, ad aver sparato e lanciato ordigni è stato lui. Per questo è stato arrestato per rissa e tentato omicidio>>.
E’ la prima volta che un’arma da fuoco (forse addirittura detenuta illegalmente) si introduce con tanta violenza nella più nera e triste cronaca del calcio nostrano.
Ricostruendo le dinamiche della sparatoria Parente aggiunge altri dettagli: << …il personaggio è scivolato e vistosi a mal partito perché c’erano diversi tifosi anche con bastoni ha esploso quattro colpi di arma da fuoco in rapida successione, poi la pistola si è inceppata …>> (dichiarazione riportata testualmente dal Corriere dello Sport).
Da ciò si desume che se l’arma non si fosse bloccata (per ragioni tutte ancora da stabilire) probabilmente il bilancio delle vittime e le conseguenze dell’aggressione potevano anche essere peggiori.
Chi è l’aggressore?
La Gazzetta dello Sport riporta un identikit sociale e legale dell’aggressore così perfetto e puntuale da non lasciare spazio a dubbi:
(Nome Daniele De Santis, ndr.) Nel 1994, a 28 anni, fu arrestato (e poi assolto) per gli scontri durante Brescia-Roma, in cui fu accoltellato il vice questore di polizia Giovanni Selmin e 16 agenti furono feriti gravemente a colpi d’ascia.
Sempre De Santis, nel 1996, venne arrestato insieme ad altri tifosi giallorossi ed esponenti dell’estrema destra romana perché autori di una serie di ricatti all’allora presidente della Roma Franco Sensi. I
nfine il derby Roma-Lazio del 2004, quando insieme ad altri sei tifosi riuscì a non far giocare la partita, diffondendo la falsa notizia che durante i violenti scontri nei pressi dello stadio Olimpico era morto un bambino perché schiacciato da una camionetta della polizia. Il 25 settembre del 2008 il tribunale di Roma ha deciso che “non si doveva procedere” nei confronti dei sette. Reato andato in prescrizione. (Citazione da La Gazzetta dello Sport).
Posto che un tifoso napoletano ha rischiato la vita; posto che nello stadio correva la voce che l’incidente fosse avvenuto per una rissa tra tifoserie e tale voce è stata smentita solo dopo diversi minuti; posto che le prime notizie erano confuse e concitate e addirittura qualcuno annunziava il più triste evento del decesso del tifoso partenopeo, era evidente che lo stadio poteva trasformarsi in un detonatore.
Il capitano del Napoli, Marek Hamšík, ha assunto su di sè il delicato compito di andare a parlare con la tifoseria partenopea.
Sul colloquio tra il capitano del Napoli e il “portavoce” della curva azzurra sono state dette molte cose, alla trasmissione L’Arena però è stato disegnato uno scenario molto ragionevole:
– le autorità non avrebbero mai messo in dubbio che la partita andava giocata;
– le notizie concitate che si stavano diffondendo anche in modo non corretto (ed in particolare la falsa notizia del decesso del tifoso) avevano però turbato la curva napoletana che per rispetto alla vittima della sparatoria (forse temendo anche che le condizioni del giovane fossero più che critiche) chiedeva l’interruzione del match;
– la società Calcio Napoli, avendo innanzitutto cura dell’ordine pubblico all’interno dello stadio, ha chiesto alle autorità di consentire al capitano di informare la tifoseria delle reali condizioni del giovane napoletano, nonché della reale dinamica dell’incidente.
Vista così la vicenda avrebbe tutto un altro sapore:
Marek Hamšík non sarebbe stato un mediatore e il “portavoce” della tifoseria napoletana non avrebbe deciso le sorti della Coppa Italia. Tra la società Calcio Napoli e la sua tifoseria vi sarebbe stato solo un rapporto di fiduciosa intesa e questo potrebbe essere definito persino corretto, male interpretato forse anche in ragione di una cattiva informazione, un’informazione poco attenta proprio alle dinamiche di ordine pubblico.
Le bombe carta esplose dalla curva durante il colloquio tra Marek Hamšík ed i tifosi sono invece un’altra cosa, sono il primo tassello di un puzzle della vergogna alimentato da un dato chiave di cui troppo poco si è discusso in queste ore:
la maglia che il tifoso partenopeo indossava.
Molti giornali e molte pagine web fanno il nome del “capo della tifoseria napoletana” e ne descrivono le gesta da ultrà sottolineando che gli ultrà , attraverso la decisione presa da questo signore, avrebbero sentenziato l’inizio della partita.
Ebbene, siccome il capo della Digos ha chiarito le ragioni del colloquio tra la tifoseria ed il capitano del Napoli, è innanzitutto scorretto dire che agli ultrà sia stata lasciata la possibilità di decidere del match.
Piuttosto è vero che in un clima di tensione, con l’ordine pubblico a rischio, l’immagine che si è imposta agli occhi dello spettatore è stata vergognosa: il “portavoce” dei tifosi partenopei indossava una maglietta dalla scritta inaccettabile, quella scritta non doveva e non poteva essere esposta in televisone.
Tale scritta è l’emblema della vergogna andata in scena ieri sera.
La frase stampata sulla maglia inneggiava alla libertà, un nobile concetto, ma associava questo principio nobilissimo al nome di chi è stato riconosciuto dalla legge italiana come un assassino: sulla maglia del capo degli ultrà era ben visibile la scritta: Speziale Libero.
Chi è Speziale?
Antonino Speziale sta scontando una condanna definitiva a otto anni di reclusione per omicidio preterintenzionale.
Il 2 febbraio del 2007 nello stadio di Catania Antonio Speziale ha mosso un pesante tubo di ferro contro l’ispettore capo Filippo Raciti accorso, nell’esercizio delle sue funzioni ,nell’area dello stadio per sedare dei facinorosi.
Filippo Raciti è morto indossando la divisa della polizia italiana e lasciando una moglie e due figli.
La maglietta che oggi rimbalza sui giornali e sulle pagine web più esposte e popolari della rete italiana è la peggiore espressione dell’inciviltà del nostro paese.
E’ quella maglietta a dare potere al “rappresentante” degli ultrà, è essa che fa di lui un “capo” ed è inconcepibile che nessuno abbia voluto esercitare la propria autorità per imporre al tifoso di togliersi la maglia quantomeno durante il colloquio col capitano del Napoli. Senza considerare poi che nessuno avrebbe mai dovuto inquadrare quella maglietta.
Lo Stato ieri ha dimostrato più che mai la sua debolezza, è stato supino dinnanzi ad una semplice ma violentissima maglietta. In attesa di una risposta da parte delle autorità è doveroso dare voce alla moglie di Filippo Raciti, la vedova di un poliziotto morto nell’esercizio delle sue funzione, le sue sono parole da condividere:
«Ieri sera – dice Marisa Grasso – mi sono sentita umiliata perché è stata offesa la memoria di mio marito: è stata indossata una maglietta che inneggia all’assassino di un poliziotto. Tutti hanno visto la prepotenza di questa persona, ma poi che è successo? Io ho pieno diritto, adesso, di avere risposte dalle istituzioni. Lo Stato ieri era presente allo stadio nelle massime espressioni, e che ha fatto?. Lo Stato deve essere forte e non debole e ieri c’è stata l’espressione evidente della sua impotenza.>> (Citazione da Il Messaggero.it)