Mio suocero è un nonno perfetto: si prende cura dei miei figli, i suoi nipoti, gioca a carte con loro, racconta loro le sue storie, proprio come tutti i nipoti vorrebbero dai nonni.
Lui ha 80 anni, e quando è diventato papà, circa mezzo secolo fa, le cose erano leggermente diverse rispetto a oggi.
Mio marito lo guarda e ricorda: “Quando, tanto tempo fa, mio padre divenne tale, non si sarebbe mai sognato di spingere un passeggino, né di chiamare amore un batuffolo tutto guance e cosciotte”.
E’ vero, ma non solo per lui.
Già nella generazione precedente il ruolo del papà era molto diverso rispetto al modo di intendere la paternità oggi.
Nessuna mamma, che oggi è nonna, avrebbe mai pensato di chiedere al marito di alzarsi lui nel cuore della notte per dar da mangiare al piccolo, men che meno di cambiare un pannolino.
Oggi il papà entra in sala parto (ma vi immaginate i nostri padri, quelli che oggi sono i nonni, entrare in sala parto? Dato per certo, sverrebbero clamorosamente!), ancor prima partecipa ai corsi pre-parto, e poi, dopo la nascita, assiste la compagna, divide i compiti con lei,e forse partecipa emotivamente in modo diverso.
Con questo non si voglia pensare che i padri di oggi vogliono più bene ai figli di quelli di qualche generazione addietro.
Soltanto il coinvolgimento emotivo è diverso, l’empatia forse maggiore.
Una volta il padre era il tramite con il sociale, il riferimento che faceva si che il figlio spiccasse il volo grazie anche a lui.
Adesso sembra che questa divisione dei ruoli sia meno distinta, meno netta tra madre e padre.
Ma sarà vero che ormai madri e padri sono intercambiabili? E soprattutto,
Esiste il papà perfetto?
Non sarò certo io a poter dare una risposta, perché sono madre, ma posso dare testimonianza diretta di quel che succede quando il padre dei miei figli, a casa per le vacanze Natalizie quando io ancora devo prendere le ferie, offertosi volontario mi dice: “Vai cara, resto io coi bimbi, tranquilla”.
E’ successo, e immagino che questa scena sia successa in tante case.
Io vado, mi dirigo al lavoro, non so se essere proprio così tranquilla come mi ha consigliato lui.
Dopo circa due ore mi arriva la prima telefonata.
“Dove sono i pannolini?”, dove sono sempre stati da che abbiamo il primo figlio, mi piacerebbe rispondere, ma evito.
In bagno, sotto il fasciatoio, a vista.
Bene, il cambio è andato, spero, non è la prima volta che un padre cambia il pannolino, dovrebbe essere andato tutto liscio.
Intorno a mezzogiorno arriva la seconda telefonata: “Cosa mangiamo?”
Ho preparato stamattina dei legumi, non bisogna far altro che riscaldarli, magari aggiungerci un po’ d’acqua e potete mangiare tutti e tre.
Anche il “Problema del Mezzogiorno” è risolto, penso tra me e me.
Ma le telefonate si susseguono: “Dov’è il ciuccio?, E la copertina? Come si fa ad azionare il carillon? Posso scaldare il biberon nel microonde? Non sarà pericoloso come dice mia madre?”
Rispondo, lo so è nel panico, ma io devo essere serafica, non posso aggiungere ansia all’ansia.
Finalmente si fanno le 17, esco, non passo come avrei voluto dal supermercato perché l’ultima telefonata aveva un tono minatorio: “Ma quando torni?” molto diversa da quel “Tranquilla” di appena 7 ore fa.
Arrivo appena a mettere la chiave nella toppa che mi apre mio marito, ancora in pigiama (“Non ho avuto il tempo di cambiarmi”), felice di vedermi come neanche al primo appuntamento.
Però non so perché mi sembra di essere entrata in una casa non mia.
Passo dal salone in punta di piedi, per non pestare il trenino, il sapientino e il primo pigiama del bimbo.
Raggiungo la cucina, e nonostante ricordassi di avere preparato una pentola di riso con i legumi ci sono piatti e padelle che sembra abbia mangiato un plotone.
In bagno non è meglio: i pannolini sono stati doverosamente gettati, ma gli asciugamani (credo 6 o 7) sono per terra; come dice la pubblicità “Cinque bambini su quattro scambiano il pavimento del bagno per la cesta dei panni sporchi” aggiungerei cinque papà su quattro.
I letti sono fatti (più o meno direbbe una maniaca del letto che lo fa in maniera quasi ingegneristica), voleva farmi una sorpresa.
Io vorrei essere arrabbiata, ma i miei figli mi vengono incontro sorridenti: “Papà ci ha fatto fare un sacco di giochi, ci siamo divertiti tantissimo. Quando è che restiamo con lui quando tu vai a lavorare?”
Sicuramente anche lui avrebbe voluto, come suo papà 50 anni fa, non avere avuto niente a che fare con pannolini e passeggini, ma l’impegno è stato tanto, l’amore anche, e soprattutto, per i miei figli è questo quello che significa avere un papà perfetto!