Quando immergiamo le nostre mani o i nostri piedi a lungo in acqua, inevitabilmente, subiscono una modificazione e si raggrinziscono in modo evidente. Questo effetto, che tutti noi abbiamo potuto sperimentare, è un fenomeno fisico vero e proprio le cui spiegazioni sembrerebbero semplici e invece sono spesso divergenti.
Numerosi esperimenti sono stati fatti per comprendere ciò che accade e studiare il processo di modificazione della pelle.
1. Alcune ipotesi sono di stampo evolutivo ovvero, secondo Tom Smulders, esperto della Newcastle University, le dita rugose avrebbero permesso all’uomo di afferrare meglio gli oggetti bagnati e dunque tale caratteristica si sarebbe sviluppata nella preistoria dell’uomo quando ci si trovava a vivere in ambienti umidi. Le dita avrebbero avuto così una maggiore presa e aderenza, maggiormente adeguati all’ambiente e alle necessità di sopravvivenza.
Il raggrinzimento dei polpastrelli sarebbe stato utile per raccogliere cibo, aggrapparsi a dei sostegni o non scivolare. Dunque si tratterebbe di un’eredità dovuta ad un adattamento evolutivo.
2. Altri studi arrivano invece alla conclusione che si tratti di un meccanismo legato al sistema nervoso e sostengono che quando vengono recisi o siano lesionati i nervi, questo fenomeno infatti non accada.
3. Di diversa opinione invece i fisici tedeschi Myfanwy Evans e Roland Roth dell’Università di Erlangen e Tubinga.
Secondo i loro studi il meccanismo sarebbe regolato da principi di termodinamica secondo i quali gli strati esterni della pelle si trovano ad assorbire acqua e questo assorbimento rapido “gonfia” le nostre dita e le raggrinziscono.
L’assorbimento maggiore dell’acqua e il gonfiore si verificano nello strato esterno della pelle e solo di mani e piedi perché è fatto prevalentemente da cellule morte, derivanti dal logorio e dallo sfregamento. Queste cellule sono composte da filamenti costituiti dalla cheratina, una proteina. Questi filamenti di cheratina si intrecciano per formare una rete tridimensionale che può aumentare fino a cinque volte il suo volume quando si estende verso l’esterno.
Evans e Roth, per dimostrare la loro teoria, hanno creato un modello di fibre elastiche di tessuto sulla base del modello della pelle umana e hanno osservato l’assorbimento di una certa quantità di acqua e verificato il rigonfiamento e il restringimento del tessuto che tornava poi alla forma e dimensione originaria.
Questo bilanciamento di energie è alla base del cambiamento della pelle: la spaziatura tra i filamenti varia con l’assorbimento dell’acqua e, allo stesso tempo, la tensione in un filamento allungato è in grado di fornire una forza che contrasta l’espandersi infinito dei tessuti ed è in grado di invertire il processo. Succede un po’ come in una molla: più si estende un filamento, maggiore sarà l’energia elastica di ritorno.
L’interazione di queste forze opposte assicura che la pelle assorba solo una certa quantità di acqua nei limiti della struttura fisica della pelle.
Secondo i ricercatori, ora che abbiamo capito questo fenomeno, possiamo applicare questa conoscenza per creare prodotti sintetici più resistenti e flessibili che possono cambiare forma e tornare alla loro configurazione originale senza deformarsi.
Sarebbe un’enorme conquista nel mondo della scienza dei materiali, oltre ad essere utile nel trattamento di malattie della pelle che potrebbero portare ad innesti cutanei sintetici altamente funzionali.
Fonte: Gizmodo