Più volte è stato sottolineato che la nascita di un bambino è un evento che cambia la vita e le relazioni di tutti i membri di una famiglia, primi tra tutti i genitori, che devono assolvere al delicato compito di educarlo.
Ma cosa significa “educare”?
Se partiamo dalla considerazione che il principio dinamico dello sviluppo del bambino è la comunicazione corporea con il mondo che lo circonda, allora ci appare chiaro che educare debba significare facilitare tale comunicazione. In tal senso l’educazione si pone come rapporto d’aiuto al bambino da parte dell’adulto che, oltre ad offrirgli la sicurezza materiale ed affettiva, deve tendere a stimolarne le attività e le esperienze, creare l’ambiente a queste favorevole facendo in modo che esso corrisponda alle motivazioni e agli interessi del bambino.
L’adulto è, ad un tempo, per il bambino il punto di riferimento, il modello ma anche l’amico e il compagno con cui condividere i giochi.
Cerchiamo, restando nell’ambito dei primi tre anni di vita, di semplificare il più possibile senza venir meno agli assunti scientifici di riferimento.
Cosa fa una mamma con il suo bambino quando, già dai primi giorni di vita, lo prende tra le sue braccia e lo stringe al petto? Mette in atto la prima forma di comunicazione tra il bambino e il mondo, gli consente di distendersi e calmarsi, di acquistare serenità e disponibilità verso la realtà circostante.
E quando lo accudisce? Gioca, e giocando lo tocca e permette, così, al bambino di fare le prime conoscenze del suo corpo e della sua utilizzazione.
E’ da qui che il bambino giunge per gradi a scoprirne le potenzialità e i limiti ed è bene ricordare che solo in base all’uso che egli ha del suo corpo può esprimere l’intenzionalità delle sue azioni, può comunicare col mondo circostante. Dunque l’adulto aiuta, media, sollecita il bambino nella sua conoscenza del mondo. Ma il mondo è fatto anche di oggetti che il bambino deve scoprire e di cui deve fare esperienza se vuole crescere. Il ruolo dell’adulto deve esercitarsi, perciò, anche in riferimento agli oggetti perché questi indirizzano l’attività del bambino e la qualità degli oggetti determina la qualità delle attività del bambino.
Ma, più che colmare il bambino di giocattoli, per aiutarne la crescita occorre diversificare consapevolmente la presenza di oggetti intorno a lui.
Con un’automobilina o una bambola, ad esempio, è facile stimolare il bambino verso attività definite. Mettendogli a disposizione oggetti o giocattoli di piccole dimensioni lo sollecitiamo ad attività più tranquille che può compiere da seduto. Se in giro lasciamo oggetti voluminosi lo spingiamo a giochi dinamici, a trasferire la sua azione nello spazio circostante. Se poi gli procuriamo oggetti che non hanno un uso determinato ne favoriamo l’immaginazione.
In ogni caso, la presenza dell’adulto è di fondamentale importanza, ma deve essere discreta. L’adulto deve essere in grado di ascoltare il bambino; può proporgli un’attività da fare con un oggetto ma deve poi lasciargli la gioia della scoperta e la sperimentazione di tutte le implicazioni connesse all’attività stessa. Nella scelta di un gioco non deve mai privilegiare quello troppo preciso. Per la crescita del bambino sono,infatti, più stimolanti quelle attività che presentano problemi, perché lo aiutano a ricercare e ad immaginare. Se il bambino acquisisce dal mondo che lo circonda sempre nuove informazioni si apre a nuovi interessi e sperimenta nuove attività e, agendo, cresce e, crescendo, conquista la sua autonomia in rapporto all’adulto. Alla luce di quanto detto si può comprendere che quando, mentre giochiamo, il bambino ci dice “lo voglio fare da solo” non sta esprimendo un fastidio per la presenza dell’adulto, che, anzi, vive con piacere, ma è semplicemente alla ricerca della sua autonomia. Quando la ricerca di questi spazi di autonomia vengono incentivati dall’adulto e quando da questi la riuscita dell’azione del bambino viene riconosciuta allora l’azione educativa può dirsi soddisfatta.