1 milione di bambini rifugiati nei campi profughi. Questa è l’ultima stima redatta nel rapporto di Save The Children che descrive la situazione in Sira. Scampati alle bombe, rifugiati nei paesi vicini, vivono in condizioni disumane.
Un numero 10 volte superiore rispetto all’anno precedente.
7 mila bambini uccisi, dall’inizio del conflitto ad oggi. E non è che la punta di iceberg, perché i morti in questo paese vengono registrati senza alcuna indicazione circa l’età.
Due anni e mezzo di guerra civile, cecchini che sparano a persone in fila per il pane, bambini dimenticati.
Save the Children è in prima linea nei campi profughi per dare assistenza alla popolazione rifugiata, ma spesso l’assistenza vacilla, il numero dei richiedenti aiuto è esagerato, un esodo che non è destinato a interrompersi, ora che i negoziati di pace sono in stallo.
Provviste sempre meno sufficienti, bombardamenti, combattimenti nelle strade di tutte le maggiori città siriane stanno stringendo il paese in una morsa senza scampo.
Le Nazioni Unite ha richiesto alla comunità internazionale aiuti per 3,7 miliardi di euro, due terzi dei quali non ancora arrivati.
Roger Hearn, Regional Director di Save the Children per il Medioriente ha affermato: “E’ sconcertante che il mondo intero sia rimasto fermo a guardare la morte di 7.000 bambini e la fuga di un milione di loro, costretti ad abbandonare paese terrorizzati, traumatizzati, spesso soli, avendo perso per sempre o smarrito genitori e famigliari. Questa non è una crisi che possiamo ignorare, non è destinata a esaurirsi. Il disastroso dramma dei rifugiati che la guerra siriana ha prodotto peggiora sempre più velocemente, molto più in fretta della capacità di far fronte a un’emergenza di questa proporzioni. E’ indispensabile che i leader mondiali possano garantire un accesso umanitario all’interno della Siria. Quali terribili statistiche dobbiamo ancora registrare prima che a questo orrore sia messa fine?”
Sabeen, un nome di fantasia, è una ragazza di 20 anni rifugiata in Libano a causa della guerra siriana. Aveva due fratelli, Mohammad e Omar. I due fratelli più piccoli, 17 e 16 anni, erano usciti una mattina dalla loro casa per cercare del pane. Cominciano i bombardamenti, e i due cominciano a saltare tra i palazzi per evitarle. Mohammad, il più piccolo viene colpito da una scheggia che penetra nella guancia e raggiunge il cervello. Omar lo carica su un camion e cerca di raggiungere il primo villaggio per dare soccorso al fratello. Ad un check point il camion viene fermato, i militari ( o cecchini) gli sparano addosso. Omar tenta di proteggere il fratello coprendolo col suo corpo, ma viene colpito. Omar muore, Mohammad, dopo un giorno di ricovero in un ospedale muore a causa della mancanza di cure e medicine.
“Ho tanti ricordi dei miei fratelli –dice Sabeen– ma da quando siamo stati costretti a scappare non ci siamo potuti portare dietro niente.“ L’unica cosa, a ricordare il passaggio su questa terra dei due fratelli, un cellulare, che Sabeen stringe come un cimelio.
E come Sabeen, ancora troppi i profughi che hanno storie simili da raccontare.