Ieri, giovedì 30 gennaio 2014, ore 21:55, la Corte d’assise d’appello di Firenze ha ribaltato la sentenza di due anni fa.
Dopo 11 ore di camera di consiglio i giudici hanno emesso la sentenza d’Appello bis: 28 anni e 6 mesi di reclusione per Amanda Knox e 25 anni per Raffaele Sollecito.
Una pena che, almeno per ora, non saranno costretti a scontare.
I giudici infatti, secondo quanto riportato da La Stampa, si sono limitati ad imporre il divieto di espatrio nei confronti del giovane pugliese perché avente “disponibilità di supporti logistici in Paesi in relazione ai quali lo Stato italiano non risulta legato da accordi di assistenza giudiziaria”.
In poche parole, ci sarebbe la possibilità di fuga in località ove non verrebbe concessa l’estradizione.
Azione non intrapresa invece nei confronti di Amanda Knox in quanto, secondo i giudici, il pericolo non sussiste trovandosi “legittimamente nel suo Paese di origine”.
Nessuna richiesta di estrazione sarebbe quindi stata effettuata nei confronti della 26enne di Seattle che, per sua stessa ammissione nel corso di varie interviste rilasciate ad emittenti americane, non sembra affatto intenzionata a fare ritorno in Italia.
Perché, nonostante una nuova sentenza di colpevolezza, entrambi gli imputati possono ancora “godere” della libertà?
La reclusione viene rimandata nell’attesa che venga svolto un nuovo ricorso in cassazione.
Come dichiarato dal legale di Sollecito, l’avvocato Giulia Bongiorno, quello emesso nel processo d’appello bis “Non è il verdetto finale”.
Di uguale pensiero l’avvocato difensore della Knox che, attraverso la CNN, fa sapere che non vi sarà alcuna estradizione fino a quando non si procederà con la fase finale del processo.
“Non è veramente in gioco in questo momento, perché, prima di tutto, può ancora appellarsi alla Corte Suprema d’Italia – ha dichiarato Simon – In Italia, secondo il loro sistema giudiziario, Amanda è a tutti gli effetti un presunto innocente fino alla conclusione della terza fase finale […] La linea di fondo è che non ci sono prove. Non c’era alcuna prova e non ci saranno mai, ed è per questo che tale sentenza può definirsi come un totale fallimento della giustizia”.
Intanto i familiari di Meredith, la sorella Stephanie e il fratello Lyle, giunti in Italia per la lettura della sentenza, hanno dichiarato:
“È la cosa migliore che potevamo sperare ma non è tempo di festeggiare”.