Lo scorso 10 gennaio Il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge in materia di cognomi da dare ai figli.
In Italia il nome e cognome del nascituro viene assegnato al momento della dichiarazione di nascita effettuata dai genitori e registrata nel registro anagrafe presente in ogni comune.
Fino a prima di questo decreto era obbligatorio registrare il neonato con il cognome del padre, quando si tratti di coppie sposate o quando il padre riconosce il figlio naturale a prescindere dal suo stato civile (art. 250 e seguenti del codice civile).
La normativa prevede inoltre che figli nati in Italia da coppie miste, ovvero cittadini di stati nei quali vige legge differente in materia di cognomi, rispettino tali norme e registrino il proprio figlio con il cognome paterno .
Nel caso in cui il padre non riconosca il figlio alla nascita, al figlio verrà assegnato un cognome dal Tribunale dei Minori, salvo che il ragazzo, alla maggiore età, possa modificarlo con quello paterno.
Prima del Ddl chi avesse voluto cambiare il proprio cognome poteva farlo in casi in cui il suo stesso fosse ridicolo o vergognoso: l’interessato poteva inviare la richiesta al Ministero dell’Interno tramite Prefetto della provincia di residenza, esponendo le ragioni della domanda (art. 84 o.s.c.).
In ogni caso la legge prevedeva soltanto la modifica e non l’aggiunta del cognome della madre, possibilità ancora inesistente in caso di figli già nati al momento dell’entrata in vigore del decreto del 10 gennaio.
Proprio delle vicende burocratiche legate al cognome materno ha dato testimonianza all’Espresso il senatore democratico Stefano Esposito, tra i firmatari del decreto approvato lo scorso 11 gennaio:
“Quando, un mese fa ho raccontato al premier Letta la mia personale odissea per far avere ai miei figli il doppio cognome, non ci voleva credere e mi ha detto che avrebbe parlato con il ministro Patroni Griffi per superare ‘questa barbarie’”
ha detto Esposito, che ha tre figli da due diverse compagne e ha cominciato la battaglia burocratica alla nascita del suo secondo figlio (primo con la nuova compagna).
“Prima ho dovuto non riconoscere i miei figli –continua Esposito-, è l’unico escamotage possibile per potergli attribuire il cognome della madre; poi sono dovuto passare per il tribunale per aggiungere il mio”. Ma l’iter è andato a buon fine solo per un figlio su tre: per l’ultima nata, la terza, è ancora in attesa che si pronunci il Tribunale.
Il primo figlio di Esposito nato dalla prima moglie avrebbe dovuto avere anche il cognome della madre, per sua giusta volontà: i documenti sono stati inviati dalla prefettura al ministero degli Interni e li sono da due anni. “Al momento, i miei tre figli sono registrati con tre cognomi diversi uno dall’altro”. Conclude Esposito, che però sull’argomento non demorde: “E’ vero che sino ad ora i tentativi di cambiare la normativa sono tutti falliti, per colpa di una cultura patriarcale che ancora adesso ha fatto dire a senatori del mio partito: ‘questa proposta di legge non la firmo perché io voglio che il cognome sia quello del padre’. Però dopo Strasburgo cambierà, deve cambiare per forza”.
Il nuovo disegno di Legge nasce infatti all’indomani della sanzione che la Corte Europea di Strasburgo aveva comminato all’Italia proprio per mancanza di legislazione in merito alla scelta del cognome.
La legge portata in parlamento si compone di 4 articoli. La modifica essenziale è quella attuata all’art 143-bis del codice civile, che nel disegno recita così:
«Il figlio assume il cognome del padre ovvero, in caso di accordo tra i genitori risultante dalla dichiarazione di nascita, quello della madre o quello di entrambi i genitori».
La regola vale anche per figli nati fuori dal matrimonio o adottati.
Il viceministro Maria Cecilia Guerra, con delega alle Pari Opportunità ha spiegato all’ANSA subito dopo l’approvazione di questa legge:
«E’ necessario un confronto più ampio e un approfondimento sulla norma: uno dei problemi, è ad esempio la possibilità, che deriverebbe dalla nuova legge, che fratelli e sorelle abbiano cognomi diversi. Un altro problema è che si apre la possibilità del doppio cognome e bisogna capire cosa succede alle seconde e terze generazioni, con l’accavallarsi di cognomi doppi, tripli, quadrupli».
Principalmente, a non convincere in molti è il presupposto di questa legge che implica l’accordo dei genitori, ovvero, se il padre non accetta, la madre non può dare il proprio cognome al figlio, mantenendo nonostante la legge la discriminazione per cui Strasburgo ci ha condannati.
Il decreto dovrà essere tramutato in legge, e chissà allora che non spuntino ulteriori emendamenti per colmare queste lacune.