Non c’è nulla di più deprecabile che fingere di lasciare libera una persona di scegliere.
Sembra che sia questa sconcertante verità ad emergere dalla testimonianza di un’assistente medico statunitense, la cui vera identità non è stata ancora rivelata, e che viene chiamata convenzionalmente Valerie.
Non è questa la sede opportuna per discutere sull’aborto in senso stretto ma piuttosto sulla politica scorretta che sembra essere usuale negli Stati Uniti e che porta ogni anno migliaia di donne ad abortire senza probabilmente la necessaria e corretta informazione e l’offerta di proposte alternative.
In America vi è la più grande rete di cliniche abortive al mondo e quella che molti chiamano scelta, è diventata un vero business.
Basti pensare che qualche anno fa, in occasione delle festività natalizie, la catena “Planned Parenthood” (genitorialità pianificata), annunciò su internet l’offerta di buoni regalo da 25 dollari per l’interruzione della gravidanza! «Un regalo insolito – scrivevano – ma anche pratico per queste festività».
Valerie racconta nella sua storia di essere riuscita ad entrare a lavorare in una clinica abortista pur avendo uno scarno curriculum, di essere stata grata, inizialmente, di poter fare un bel tirocinio ma di essersi resa conto ben presto che in questo settore tutto era mosso dal dio denaro.
Ne’ lei ne’ altri suoi colleghi e colleghe erano qualificati per essere consulenti delle donne, eppure lo facevano quotidianamente, seguendo delle direttive ben precise che provenivano dalla dirigenza della clinica.
Le donne dovevano abortire perché ciò significava “soldi”. 400 dollari per una gravidanza standard di dodici settimane e la quota aumentava con le settimane di gestazione.
Ecco le parole di Valerie:
“Si pensa che i consulenti debbano spiegarti tutto, dirti la verità, ma non è vero: la cosa importante è far decidere per l’aborto senza troppe spiegazioni.” “Ci dicevano: se qualcuno vi chiede se soffrirà o se è già un bambino…voi semplicemente rispondete che si tratta solo di cellule, di tessuto che non soffre e che non si può definire vita…”
“Ci veniva imposto di non soffermarci su altro ma di spiegare solo la procedura, le medicazioni, il post operatorio, non dovevamo rispondere in modo esaustivo alle richieste sullo sviluppo del feto o altro… c’era la paura che alcune donne potessero cambiare idea.
Eravamo dei venditori che cercavano di piazzare il prodotto “aborto” parlando solo in termini positivi senza menzionare gli effetti collaterali, soprattutto emotivi, che potevano esserci.”
“Prima dell’aborto era necessario fare un’ecografia per stabilire l’epoca della gravidanza ma era una procedura che doveva essere fatta minimizzando ogni dettaglio, eravamo stati istruiti per non far visualizzare le immagini alla donna in modo che non venisse presa dal panico, da dubbi…”
Valerie lavora nella clinica per sei lunghi anni, poi, un giorno, in quella che era diventata una routine, ha una folgorazione, ognuno è libero di interpretarla in base alla propria sensibilità:
“Ricordo che ero dietro al medico e potevo vedere perfettamente come stava eseguendo l’aborto di un feto di circa 20-22 settimane.
Il bambino a quell’epoca è perfettamente sviluppato, le femminucce hanno anche già l’utero e le ovaie, sono presenti le corde vocali e dalla 14° settimana sappiamo anche che prova dolore, è in grado di distinguere il dolce e l’amaro nel liquido amniotico.
Potevo distinguere perfettamente il suo viso e non so descrivere cosa ho provato in un istante: stavamo uccidendo un essere umano che ci stava guardando.
Pensavo che era legale dunque non poteva essere sbagliato ma la mia coscienza urlava e io volevo urlare. Ho sentito la morte. Mi vergognavo, ero confusa e lo vedevo sanguinare, non fui più in grado di fare nulla…”
“Probabilmente se fosse nato prematuramente avrebbe avuto la possibilità di sopravvivere. Pensi di essere libera di scegliere e invece …”
“Pensate alle conseguenze di questo aborto. Immagina che questo bambino potevi essere tu. Immagina di essere nel posto più sicuro in assoluto, nel grembo di tua madre. Non hai idea di quanto crudelmente la tua vita finirà, di come sarai fatto a pezzi.
Noi così tradiamo i nostri figli. Interrompiamo le loro vite preziose così bruscamente, così inaspettatamente. Pensi che l’aborto porti sollievo, ma invece porta il vuoto, la vergogna, il dolore, il rimpianto, la sensazione di morte.”
Valerie oggi è impegnata nella causa pro-life, pro-vita, ma soprattutto per dare un supporto più equo alle donne nella loro scelta.