Nell’aprile 2010 Emily Bingley aveva solo dieci settimane, era completamente ignara del fatto che la sua mamma si sarebbe tolta la vita da lì a poco, a seguito di una gravissima crisi depressiva post partum. Ora ha paura di andare in ospedale perché sa che non sempre i medici possono guarire le persone, non sono riusciti infatti a salvare la sua mamma.
Ciò che addolora il marito, Chris, oltre all’incommensurabile perdita della sua amata moglie e madre di Emily, Joanne, è l’indifferenza e le difficoltà nelle quali si sono trovati durante quelle dieci interminabili settimane.
Nel 2005 Chris e Joanne si sposano e la loro unione è felicissima, ricorda Chris:
“Eravamo un corpo e un’anima, io guadagnavo molto bene, avevamo una villetta, spesso tornavo presto dal lavoro, invitavamo degli amici e ci divertivamo.” “Abbiamo subito cercato di avere figli.”
Si erano conosciuti nel 2000 e Joanne faceva l’infermiera.
”Aveva un viso allegro, felice, e degli occhi blu luminosi, ci siamo messi subito a parlare e abbiamo preso un taxi, siamo andati a casa mai e abbiamo parlato in giardino tutta la notte fino a quando è arrivata l’alba.”
Nel 2006 Joanne rimane incinta ma sfortunatamente perde il bambino e un altro nel 2008.
“Joe continuava a piangere” ricorda Chris, anche questi sono segnali di una predisposizione alla depressione post partum ma che non vengono subito compresi, neppure da Chris che ora si sente anche in colpa per questo.
C’è un dieci per cento circa di donne che possono sviluppare la depressione post partum ma se ne hanno già sofferto, anche a causa di un aborto spontaneo, la percentuale può salire fino al 50%, ecco perché Chris si rimprovera di non aver forse seguito sua moglie come avrebbe dovuto.
Nel 2009 per distrarla, Chris la porta in vacanza a Dubai e la cosa sembra aver funzionato, tanto che Joanne è di nuovo incinta.
Emily è nata il 18 febbraio 2010 e le cose sembravano essere assolutamente nella norma. Nei giorni seguenti però, tornare a casa non è facile per Joe.
Ci sono diversi problemi nell’allattamento, lei e Emily vengono ricoverate un paio di giorni e poi sembra tutto andare ma la situazione precipita quando il latte di Joanne non è sufficiente: la bimba continua a piangere e a perdere peso.
Joanne, 39 anni, aveva manifestato più volte il suo disagio ed in modo assolutamente inequivocabile. Insieme a suo marito aveva pregato di essere curata, di essere ricoverata, aveva avuto grossi problemi di allattamento, aveva pianto e si era disperata con i dottori ogni volta che ne aveva avuto occasione…
I dottori segnalano solo che è piagnucolosa e stressata. Le assistenti sociali che le fanno visita fanno domande di ogni genere ma, secondo Chris, annoiate e stanche, tralasciano le domande relative al possibile disagio di mamma depressa.
Sembrano tutti troppo e solo preoccupati di sapere come va l’allattamento e se i problemi relativi si sono risolti.
“Nessuno si è preoccupato di lei come persona, continuavano ad insistere solo sul fatto che allattare al seno è la cosa migliore, è tutto…” sostiene Chris.
Joe era attaccata al tiralatte tutto il giorno ma tutti le dicevano sempre e solo che la cosa più importante era continuare ad allattare Emily, ad ogni costo, il suo seno era tumefatto, i suoi occhi gonfi ma nessuno le ha consigliato di smettere…
“Non biasimo le ostetriche – dice Chris – ma dovevano valutare meglio il quadro generale – Emily non solo ha perso il “prezioso” e “insostituibile”, a quanto pare, latte, ma anche la sua mamma!!!”
“Guai a sentire parlare di biberon, ma alla fine, una notte, stremati, ho fatto il latte artificiale e Emily ha finalmente passato delle ore tranquilla, come non era mai successo.”
Prima di Pasqua Joe collassa e quando si riprende riesce solo a piangere e singhiozzare.
“Mi ci sono volute sei ore, per metterla a letto e farla smettere di piangere.” Ricorda Chirs. “Il giorno dopo non voleva neppure alzarsi, l’ho accompagnata in ospedale e le hanno prescritto degli antidepressivi, ma tutto questo era solo la punta di un iceberg che non si può curare solo con i farmaci.”
Joe minaccia di schiantarsi con l’auto, accoltellarsi, avvelenarsi o buttarsi da un cavalcavia con la piccola perché non vede via di uscita.
Malgrado tutto ciò i medici concordano nel mandarla a casa e che curarla a casa sarebbe stata la cosa migliore. Invece le cose peggiorano ancora drasticamente.
Chris chiede un periodo di congedo dal lavoro e cerca si stare vicino a Joanne che continua a piangere e urlare che non si sente una madre, si sente inutile, che è sicura che Emily non le voglia bene.
Tre giorni prima di morire era stata visitata da un’assistente sanitaria e l’aveva pregata piangendo di portarla con se’… inascoltata, ha preso la fatale decisione.
Ha lasciato il marito e la figlia addormentati, ha preso la strada in direzione della ferrovia e si è sdraiata sui binari. Alcuni secondi dopo un treno espresso l’ha uccisa all’istante. Chris si sveglia, presagisce, avverte la polizia e fa in tempo ad ascoltare la notizia alla radio…
Da allora Chris non ha mai smesso di investigare sulle possibilità e le responsabilità che ha avuto il servizio sanitario in tutto ciò, perché è certo che tutto questo si sarebbe potuto evitare. Ha istituito anche un fondo di beneficenza in memoria di sua moglie per poter aiutare altre donne nelle medesime condizioni. Per aiutare questa causa e per crescere Emily, Chirs ha anche lasciato il suo lavoro e affronta difficoltà economiche e gestionali.
“Non voglio che mia figlia possa mai sentirsi in colpa per tutto ciò, non voglio che possa trovarsi nelle stesse condizioni della madre e non voglio che nessuno lo sia più”.
Le indagini concluse dalla magistratura sostengono che non vi sono delle responsabilità oggettive che si possono imputare al servizio sanitario ma, nel contempo, le misure per sostenere e prevenire il disagio da depressione post-partum sono state potenziate e d implementate.
Fonte: http://www.dailymail.co.uk