Intervista fiume quella di Lapo Elkann a Beatrice Borromeo ieri sul Fatto Quotidiano.
Lapo Elkann, nipote ereditiere della Fiat, 36 anni e un passato di alti e bassi, eccentrico e attualmente imprenditore di un’azienda di occhiali, dal nome Italia independent.
Parla di tutto Lapo nell’intervista, apre raccontando che ormai è schiavo solo delle sigarette e poi racconta e si racconta.
Dall’infanzia, alla sua dislessia, a fatti mai raccontati in precedenza, e dice di non essere soltanto il nipote di Gianni Agnelli. Lapo è tantissime cose.
Parla di come sia stato contento di essere stato declassato alla leva militare perché troppo tatuato: niente allievo ufficiale, soldato semplice, che lavava i piatti, faceva a pugni e veniva punito.
Racconta di come da piccolo avesse, come il nonno, la fissa delle macchinine. E andava proprio da nonno Gianni a chiedergli: “Scusa, se tu fai le macchine perché non posso avere le mini macchine anche io?”
Parla di come a quel tempo volesse fare il negoziante: “Vedevo Vedevo i miei amici francesi, ebrei sefarditi, con le loro botteghe, sempre pieni di contanti e mi dicevano: ‘Ma che vuoi tu? Tu hai le fabbriche’”.
E poi svela un passato di ferite, nascosto, mai raccontato. Lapo era dislessico, amava più parlare che scrivere. Lui, secondo di otto fratelli, che andarono a scuola pubblica, fu mandato in collegio dai gesuiti.
“A 13 anni ho vissuto cose dolorose. Abusi fisici. Sessuali. Mi è accaduto, li ho subiti. Il mio migliore amico, che era in collegio con me per quasi 10 anni e ha vissuto quello che ho vissuto io, si è ammazzato un anno e mezzo fa. Non ne ho mai parlato prima anche perché voglio che questa storia serva a qualcuno. Sto pensando a una fondazione. Voglio aiutare chi ha passato quello che ho passato io. Parlare è giusto, ma facendo qualcosa di utile, di positivo.”
E continua, parla del lavoro su se stesso, di come abbia avuto la forza di superare questo trauma, e di come invece si sia messo in discussione, dopo il suicidio del suo migliore amico.
E di come gli manchi lo zio Edoardo, e il nonno Gianni.
Dell’Avvocato ha preferito esserne il nipote dice Lapo “Perché il nonno te lo puoi godere, un genitore ti deve educare”. Da giovane voleva somigliargli, ma poi ha capito che è giusto che ognuno sia quello che è.
L’intervista scandaglia anche i rapporti più intimi, come quelli, burrascosi, con la madre Margherita. Lapo risponde, racconta dei confronti avuti con lei, ma poi glissa: “Quello che ci siamo detti riguarda solo noi, non lo condivido coi giornali”.
E proprio per continuare a parlare di donne continua: “Non vedo la mia vita senza moglie e figli. Ho 36 anni, entro i 40 ci arrivo”.
Chiamerà la figlia Italia, sempre che la sua moglie sia d’accordo. D’altronde, se ci sonno nomi come Asia o India, perché non Italia!
Lapo parla anche di Papa Francesco (“è fantastico, umano, moderno”), e dell’Italia che soffre, ma non è sconfitta.
Poi non poteva mancare una domanda su Berlusconi, e lui continua rispondendo sinceramente: “nel ’94 l’ho votato…poi non più. Come imprenditore e italiano il mio scopo non è dimenticarmi delle tasse. Guadagno e sono contento di pagarle. Ma non partecipo al tiro al bersaglio. Qui da sempre prima si fa un applauso poi si prepara il plotone di esecuzione. Troppo comodo.”
E di Renzi. E racconta di come lui, e solo lui, all’epoca del suo “incidente” gli scrisse una lettera gentile e umana.
Lapo continua, è uin fiume in piena, parla dei suoi rapporti con i Della Valle (“Sono amico di suo figlio, non basta trasformare un’aziendina in aziendona per far di te uno che può parlare di tutto”), di Giorgio Armani (“Nella storia d’Italia esistono due GA, uno era Gianni Agnelli, l’altro è lui”), di Marchionne (“Prima di lui la Fiat era un’azienda europea, oggi è mondiale”), e di come si vede in futuro, lui che avrebbe potuto essere il prossimo presidente della Fiat:
“Ma il lavoro che faccio ora con Italia Independent non è un gioco. Ci sono famiglie che dipendono da me, prospettive, orizzonti che, al momento, nel mondo dell’auto non ci sono”
Lui, che il primo lavoro che ha fatto, è stato in catena di montaggio alla Piaggio di Pontedera. Sotto falso nome, linea di montaggio ammortizzatore-cavalletto. “Dormivo in una pensioncina, ma non ci prendiamo per il culo. La gavetta è un’altra cosa e due mesi non sono niente. Quello in fabbrica è un lavoro durissimo, dalla monotonia straziante, per cui provo profondo rispetto.”
In Fiat poi c’è tornato da azionista, e qualche idea, come la felpa con la scritta è stata anche vincente (troppo poco però aggiungerei ndr).
E nel 2005 la rianimazione in ospedale, e tutte le prime pagine dedicate alla vicenda.
Risalire la china è stata dura dice Lapo: “Adesso ho una certa pace interiore perché a quella definitiva non arrivi mai. Mi sono salvato per un soffio dopo aver visto la morte in faccia, ho avuto l’immensa fortuna di potermi giocare una seconda occasione”.
Vuole riscattarsi Lapo, parla della sua nuova azienda, Italia Independent, e di come voglia arrivare a concorrere con nomi del calibro di Ray Ban. E conclude la sua intervista, raccontando di quale uomo voglia diventare: “Se la classe imprenditoriale ha fatto credere che essere furbi fosse un valore, io rivendico il valore della bontà”.