Cosa succede se all’improvviso tuo figlio, in un momento di manifesta volontà di indipendenza, ti comunichi il desiderio, oltretutto legittimo, di non volere più stare con te…. nel percorso che separa la casa dalla sua classe, e di volere andare da solo a scuola?
E qui le mamme “ansiogene”, ma anche i papà (quelli perfettamente descritti in un libro -da leggere- di Claude Ponti, dal titolo “Catalogo dei genitori”, come «specialisti imbattibili di angoscia aggravata e terrorizzazione demonizzante») potrebbero venir meno.
La sindrome del distacco materno (che colpisce la madre però, si badi) fa la sua comparsa ancora, dopo quella volta in cui ci si è sentite donne finite perché non allattavamo più, e dopo l’altro attacco di panico quando ha cominciato a fare i suoi primi passi e noi dunque non saremmo servite più a niente. Ecco l’ennesimo colpo. Vuole andare a scuola da solo.
E se lo rapissero gli alieni? E se per strada una burrasca lo cogliesse e lo facesse ammalare di broncopolmonite?
Battute a parte, l’ansia delle madri quando i figli manifestano un seppur minimo desiderio di autonomia sarebbe sempre da mettere da parte, a favore di un loro bagaglio formativo che li fortifichi, li renda indipendenti e li proietti all’esterno di quella bambagia che è la famiglia (della quale, attenzione però, fanno parte madri, padri e anche nonni).
Tentiamo dunque questo slancio di fiducia, non solo in nostro figlio, ma anche nel mondo, perlomeno in quello sotto casa nostra, evitando di essere overgenitori apprensivi e oppressivi.
D’altronde la generazione che adesso è genitore, ha vissuto l’infanzia a giocare all’aperto, nei parchi, nei marciapiedi sotto casa.
Certo, si dirà, adesso le cose sono cambiate, certi quartieri di città, grandi e piccole, non consentono gli stessi spazi vitali ai ragazzi, la delinquenza (forse) è aumentata. Ma è anche aumentato il grado di preoccupazione che fa di noi genitori dei “genitori elicottero” come scrive Lenore Skenazy, giornalista e scrittrice americana, dove per elicottero si intende quello della polizia che sorveglia dall’alto la città.
Che poi, le mamme ansiose, lo sono anche se i figli sono al sicuro in casa (lavati le mani che ti viene il tifo), o al massimo vanno in piscina a fare un po’ di movimento (non ti tuffare che ti spacchi la testa).
Come combattere tutte queste ansie? E soprattutto, è giusto preoccuparsi così dei figli, o è meglio trovare una strada alternativa che lasci maggiore spazio anche alle esperienze della vita?
Proteggere i propri cuccioli è un istinto quasi animalesco, una madre tenta sempre di frapporsi tra i figli e il possibile pericolo, ma anche Freud consigliava di cessare ad un certo punto della vita la “funzione dell’intendersi” che è l’interpretazione (non sempre corretta peraltro) da parte della madre delle richieste del bambino, con l’aggiunta della propria significazione.
Qualche tempo fa lessi un libriccino intitolato “Manicomio giardinetti”: un elenco di tipi di mamma che si possono trovare al parco nei pomeriggi in città. Un capitolo si intitolava “Geson, non sudare che muori”, divertentissimo, che rende molto il senso di che mostri potrebbero creare le mamme ansiose. Ne riporto qualche rigo, e se trovate il libro compratelo (non è un libro “didattico”, ma fa pensare vi assicuro):
“Geeson, mettiti il cappello che il sole ti cuoce il cervello, non correre che cadi e se cadi le prendi, non sederti per terra che ti entrano le formiche nelle mutande, non ti tagliare che ti viene il tetano e muori, non bere dal bicchiere degli altri che ti vengono le malattie, mangia piano che ti strozzi, non metterti le mani in bocca che ti viene il mal di pancia e muori, corri piano, cammina veloce…” e dopo questa serie di anatemi, Geson, non avendo trovato altro da fare, ci ha riso su!
E quindi diamo sì ai nostri figli il casco per andare in motorino, ma anche le ali per volare da soli!