Una mia giovane amica, dalla tormentata storia sentimentale, mi ha confessato di essere decisa ad avere un figlio indipendentemente dalla stabilità del rapporto con il suo compagno.
Ecco, ho pensato, un calzante esempio di emancipazione femminile. La donna oggi si è riappropriata del proprio corpo e decide in libertà quando e come essere mamma e lo fa indipendentemente dal fatto di essere sposata, indipendentemente da certi retaggi culturali, da certi pregiudizi e addirittura, grazie ai progressi della medicina, indipendentemente dall’età anagrafica.
Il percorso è stato certamente lungo e faticoso e lo stesso rapporto della donna con il proprio corpo è stato difficile ed ha condizionato il suo essere mamma. Per molti secoli, nella nostra cultura, la donna non ha potuto scegliere perché sin dall’antichità ha vissuto in subalternità all’uomo che ne ha limitato i ruoli e le funzioni alla riproduzione. Le culture antiche, da quella greca a quella ebraica e a quella romana, sono ricche di esempi di esclusioni e di divieti per la donna, cui era consentito di essere figlia, moglie e madre e di condurre una vita all’interno della famiglia ove, comunque, la sua autorità era molto limitata. Era destinata al matrimonio, ma il matrimonio altro non era per la donna che il passaggio dall’autorità del padre a quella del marito. Non sceglieva il suo sposo e non era richiesto il suo assenso. Negli accordi matrimoniali, la donna che andava sposa era solo il pretesto per la famiglia a stringere alleanze più o meno potenti. L’età per il matrimonio coincideva con la pubertà della donna e molto spesso era anticipata e di non poco. Il cristianesimo, che pure inizialmente era stato rivoluzionario riconoscendo l’eguaglianza tra uomo e donna, col tempo inasprì la subordinazione della donna all’uomo e fece sue tutte le credenze antiche associate al corpo femminile e alla riproduzione. Così, quasi fino ai giorni nostri, la donna è stata considerata oggetto di perdizione, un pericolo per l’uomo, impura al punto da dover essere separata dagli uomini nelle cerimonie religiose. Era peccato per la donna persino provare piacere nel rapporto sessuale all’interno del matrimonio. E cosa dire del parto? Era considerata un’esperienza contaminante come del resto il ciclo mestruale. Addirittura il cristianesimo si appropriò di una credenza ebraica secondo la quale la donna rimaneva impura per 33 giorni dopo la nascita di un figlio maschio e per 66 giorni dopo quella di una femmina. Tuttavia non ci si preoccupava minimamente di quel che il parto costava alle donne in termini di salute. Considerando la scarsa profilassi e le approssimative cure mediche del tempo, quando non moriva, certamente la donna ne aveva accorciata la vita. Il cristianesimo, contrariamente alle culture precristiane, addirittura è venuto condannando qualsiasi forma di contraccezione o di aborto, giungendo ad assegnare penitenze per gli aborti naturali. Eppure fino al secolo scorso, soprattutto presso le donne del mondo contadino erano diffuse svariate pratiche abortive, seppur inefficaci e pericolose, pratiche cui le donne facevano ricorso solidarizzando tra loro, all’insaputa dei mariti. Un esempio di libertà decisionale? A dire il vero c’è poco di libertà e indipendenza in questi tentativi estremi e dolorosi messi in atto dalle donne, perché quasi sempre esse vi facevano ricorso per timore delle reazioni violente dei propri mariti ad un’ulteriore e inopportuna gravidanza. Se i figli non arrivavano era colpa sempre e solo della donna che diventava oggetto di denigrazione e, addirittura, poteva essere abbandonata dal proprio marito. Se, di contro, era troppo spesso gravida si esponeva alla disapprovazione e alle ire del marito perché colpevole di peggiorare le già precarie condizioni economiche della famiglia. Mai un uomo chiedeva alla propria donna se fosse pronta per la maternità o quanti figli desiderasse avere. Non è difficile immaginare con quale senso di estraneità per il proprio corpo la donna vivesse allora la sua vita sessuale e ancor più la gravidanza, il parto e il suo essere mamma.