Col termine fissazione si indica quella condizione psicologica di stallo di una pulsione che non riesce a trovare uno sbocco, nel tempo, attraverso la maturità.
La persona affetta da questa condizione, a livello psichiatrico, si trova bloccata in un pensiero fisso che, spesso, le procura insoddisfazione e disagi nei rapporti sociali. I motivi sono da ricercare, senza dubbio, in eventi accaduti in passato, solitamente nell’infanzia, nella quale, mentalmente, l’individuo si rifugia in stati regressivi.
E’ come se ritornando indietro volesse rivivere la vicenda per cercare una soluzione ma senza trovarla.
Questa persona ripete, spesso, lo stesso comportamento perché è incapace di elaborarlo e farlo maturare per una normale via di crescita alienandosi, infine, come per risparmiare energia e ripetendo la stessa cosa. In questo modo, inconsciamente, non è obbligata a trovare o elaborare delle soluzioni e, di fatto, resta bloccata in un punto fisso dal quale può osservare senza dover sperimentare nuovi passi.
Tutti abbiamo qualche fissazione alla quale non facciamo caso. Alcune riguardano la vita domestica, altre la nostra socialità o la sfera personale.
Bisogna, però distinguere la normalità dalla patologia.
Se, per esempio, facciamo il caffè in una certa maniera non troviamo la necessità di sperimentare altre modalità perché abbiamo acquisito un metodo che ci soddisfa. Può succedere, però, di osservare che un’altra persona lo fa in un modo diverso. A questo punto, subentra in noi la capacità di analisi che rimette in discussione la maturità acquisita precedentemente e che ci dettava di fare il caffè in quella certa maniera e tramite tale analisi giudichiamo se il caffè fatto in un altro modo è migliore, uguale o peggiore del nostro e da lì parte un percorso di elaborazione nel quale decidiamo di rimanere fermi con le nostre modalità o acquisirne di altre.
Se non elaboriamo nulla, possiamo dire che siamo vittime di una fissazione.
Abbiamo fissato la nostra modalità di fare il caffè e non vogliamo cambiarlo. Non per questo, il nostro atteggiamento è patologico. Non coinvolge, infatti, la negazione di elaborare un nuovo metodo ma, semplicemente la mancanza di interesse o di importanza della cosa. E’ un esempio, non banale ma quotidiano al quale non facciamo caso perché nella normalità della vita quotidiana , non sempre abbiamo la necessità di confrontarci con gli altri.
Vediamo, invece, un esempio di fissazione malata che può riguardare la giovinezza e la bellezza.
Fare attenzione alla propria bellezza può essere positivo se c’è il desiderio di piacere, di essere gradevoli ma questo percorso prevede un’evoluzione secondo cui ogni età ha il suo grado di bellezza che non è meno importante di quello precedente. Se, però, a questa esigenza si aggiunge quella dell’eterna giovinezza, il risultato può essere letale.
Quella che era la ricerca del benessere diventa la caccia all’impossibile.
Quante volte osserviamo persone che si sono concentrare sulla loro bellezza, sulla loro giovinezza e pur di bloccarla, dopo trent’anni, risultano solo delle figure grottesche?
Queste persone hanno fissato un periodo della propria vita nella loro immaginazione e vi volteggiano dentro come in una bolla d’aria senza saperne uscire.
E’ giusto curare la propria persona , mettere una crema per rendere la pelle elastica o eliminare chirurgicamente le borse agli occhi se queste causano disagio, come è giusto, in una serata di gala, mettere un abito con sotto un bel push up che porti su il sedere e lo spirito durante la serata. Ogni cosa è fine a se stessa senza dare un’importanza definitiva, fissativa.
Bisogna prendere coscienza che a vent’anni il corpo è di un ventenne e a quaranta di un quarantenne: non si è ventenni per sempre.
Accettare serenamente l’età e far si di essere una persona bella e splendida anche a sessant’anni coi propri sessant’anni può essere più affascinante di ogni falsa bellezza. Non avere la pelle avvizzita è doveroso ma stirare delle rughe che, comunque, lasciano i segni dell’età sotto una voce matura, un corpo che si muove a rilento e a volte con gli acciacchi del tempo risulta, spesso, buffo.
La fissazione nasce in periodi remoti della nostra vita e per lo più per motivi traumatici che non si riescono a rimuovere.
Per esempio, nel caso della bellezza si può ipotizzare, per alcuni, un trauma dovuto ad una madre bella o un padre estremamente aitante che abbiano alimentato nei figli dei sentimenti conflittuali. Alcuni genitori invece di dare delle direttive educative di crescita ai propri figli si confrontano con loro e la loro adolescenza entrano in competizione ostentando, perfino, interesse per ragazzi dell’età degli stessi figli.
Non sempre un figlio è forte abbastanza e quando è fragile, solitamente, può rifugiandosi in un complesso di inferiorità nel quale non crede che raggiungerà mai le capacità né le prestanze del genitore. Da qui la difficoltà di elaborazione perché succede come quando si scatta una foto. Questa rimane indelebile nella mente del giovane e si ripresenta ogni qualvolta un stimolo la richiama in superficie.
Ogni nostra pulsione ha un obiettivo risolutivo, cioè che deve trovare uno scopo finale, così che mettere una crema per apparire più giovani non significa tornare indietro negli anni ma semplicemente dare più luminosità alla pelle, attenuare i segni dell’età senza nasconde l’età stessa.
Nella fissazione viene meno la capacità di cambiare obiettivo rendendo impossibile il distacco dall’oggetto di fissazione che va curata elaborandolo. Nel caso dell’aspetto fisico, in funzione dell’età, necessita un confronto con coetanei e non specchiandosi sull’immagine dei giovani o peggio, sul proprio passato.
Il soggetto affetto da fissazione, si trova spesso come orfano in un mondo dove tutto è passato tranne se stesso.