Storia da libro cuore ambientata tra Maraja e elefanti indiani.
Il racconto, appreso qualche settimana fa, è infatti ambientato nell’Uttar Pradesh, in India, ed ha per protagonisti una mamma e un figlio devoto.
Nel 1994, 19 anni fa, Vijay Kumari è stata accusata dell’omicidio di un bambino e reclusa nel carcere di Lucknow.
Vijay, che al momento dell’incarcerazione era incinta, riuscì ad avere udienza presso la Corte d’Appello, la quale dopo avere sentito la sua versione annullò la sentenza di primo grado e le concesse la libertà dietro cauzione. Lei però non ebbe il denaro necessario, 10.000 rupie, più o meno 138 euro, e non potè godere della concessione della Corte d’Appello.
Visse così per i successivi sei anni in cella con il figlio, finchè il piccolo Kanhaiya (dall’hindi ‘Colui che ha visto la luce dietro le sbarre‘, uno dei nomi del Dio Krishna) venne affidato ad una casa famiglia.
Kanhaiya venne allontanato dalla mamma e crebbe con altre persone che si presero cura di lui, ma il suo pensiero di era sempre uno: riuscire a trovare i soldi per far uscire la mamma dal carcere.
Negli anni successivi andò in carcere ogni due settimane, e sebbene facesse lavoretti ovunque non riusciva a risparmiare per pagare la cauzione.
Finalmente l’anno scorso, divenuto maggiorenne, riuscì a trovare un impiego presso una fabbrica di abbigliamento e il mese scorso si è presentato con le 10.000 rupie, pronte per liberare la madre.
Kanhaiya ha raccontato: ”Ogni rupia superflua finiva in un salvadanaio per accumulare la somma richiesta per la cauzione. Ed ora sono molto molto felice”.
Non solo. Avendo conosciuto la storia esemplare di Vijay Kumari e del figlio, l’Alta Corte di Allahabad ha reclamato che tutti i tribunali stilassero una lista di detenuti che non hanno potuto godere della libertà su cauzione perché, come la donna, in penuria di risorse.