La compassione è quell’umano sentimento di partecipazione commossa e viva che spinge l’uomo all’indulgenza ed alla solidarietà.
Non tutte le vite sono “normali” e non tutti sono capaci di riconoscere che la “normalità” rappresenta di per sé una vera fortuna. Alcune vite partono dalla sofferenza perché alcuni bambini debbono affrontare prestissimo e con fatica il dolore: parliamo dei bambini gravemente malati, dei figli nati malati o colpiti da una patologia più o meno grave in tenerissima età.
Questi bambini sfortunati e le loro famiglie meritano la più completa attenzione delle istituzioni. Nei progressi della medicina stanno le massime speranze di salvezza per moltissimi bambini. Tuttavia la scienza medica parte da pratiche empiriche e studi sperimentali che per loro natura pretendono sempre lunghi periodi di pianificazione, prova e verifica. Perciò ogni farmaco, protocollo e cura medica passa per periodi più o meno lunghi di sperimentazione. Ma le malattie non aspettano, arrivano, colpiscono, avanzano e uccidono.
- È possibile che a fronte di un pericolo di vita conclamato e serissimo si possa con compassione ed indulgenza “mettere in opera” una cura o un farmaco che non hanno ancora compiuto l’intero percorso di sperimentazione?
La letteratura medica è piena di casi di guarigioni inaspettate, frutto dei prodigi compiuti da farmaci ancora poco conosciuti o in via di sperimentazione.
- Su Facebook è recentemente ricomparsa la storia della bambina-miracolo salvata in Australia da un farmaco assai poco conosciuto ed in via di sperimentazione.
La storia del bebè di Melbourne che ha sconfitto la morte grazie ad una terapia sperimentale è assai datata, la bambina nacque il 1°maggio del 2008, tuttavia è una vicenda emblematica perché dimostra che quando la morte è in agguato non c’è mai tempo da perdere!
In Australia in quel lontano maggio di 5 anni fa venne alla luce una bambina sfortunatissima, era affetta da una rarissima sindrome metabolica che letteralmente “avvelena” l’organismo e, determinando una velocissima degenerazione cerebrale, porta rapidamente alla morte.
I neonatologi dell’ospedale di Melbourne, dove la piccola venne alla luce, insieme all’intera equipe medica trovarono una risposta “teorica” alla malattia della bambina nella cura sperimentale del dottor G. Schwarz.
Schwarz lavorava già da 15 anni ad una sperimentazione farmacologica che teoricamente poteva adattarsi alla sindrome metabolica di cui la neonata “stava morendo”. Il problema fu ammettere l’uso della medicina su un paziente umano poiché il farmaco era in sperimentazione e quindi era stato adoperato soltanto sui topi in forma di test.
Il tribunale, previo assenso della famiglia, autorizzò la cura e la bambina fu inaspettatamente salvata. I medici hanno testimoniato che sin dalla prima somministrazione le sostanze tossiche presenti nel cervello della bambina diminuirono considerevolmente. Naturalmente il rapporto tra la bambina e la sua cura è e sarà un rapporto a vita perché nel caso di specie la sindrome metabolica si argina ma non si guarisce, malgrado ciò la sopravvivenza della neonata attesta la necessità di aprire ai casi disperati la speranza della vita.
In Italia è ammesso l’uso di farmaci sperimentali in casi di certo e grave pericolo di vita e laddove le patologie sofferte dall’ammalato non siano affrontabili con cure e protocolli comuni: in tal caso si parla di cure “compassionevoli”.
La legge, a tutela del paziente e riconoscendo all’ammalato ed alla famiglia un diritto alla speranza, ammette che farmaci sottoposti a sperimentazione nel territorio italiano o in un Paese estero, sebbene ancora sprovvisti dell’autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata dal Ministero della Salute, possano essere utilizzati per “tentare di salvare una vita umana”.
Teoricamente le cure compassionevoli si coniugano perfettamente con la libertà individuale e con il principio di libera disposizione del corpo umano, tuttavia la stessa legge sottopone l’elargizione delle suddette cure a limiti molto ferrei. Eccone alcuni massimamente esemplificati:
il medico che si fa carico di promuovere l’uso della cura compassionevoli in favore del suo paziente deve presentare una richiesta dettagliata in cui deve riferire del caso di specie e delle aspettative che si nutrono con l’applicazione della cura; occorre il nulla osta del comitato etico dell’ospedale; il paziente, preventivamente erudito sui pro e i contro della terapia, deve firmare un consenso informato; il farmaco deve essere contemplato come farmaco per uso compassionevole in un elenco predisposto dalla Commissione Unica del Farmaco; il medicinale (e questo è il limite più stingente) deve avere superato la terza e ultima fase di sperimentazione. Anche le aziende produttrici hanno un loro comitato etico aziendale che pure manifesta il proprio parere sui casi di uso compassionevole dei farmaci.
L’avanzamento della sperimentazione (farmaco in terza fase) serve a dimostrare una buona efficacia e una buona tollerabilità del medicinale. Il termine “compassionevole” non è stringente e la legge lascia aperta la possibilità che vengano adoperati in funzione di cura “salva vita” anche farmaci in fasi di sperimentazione più arretrate ma è molto raro l’uso compassionevole di medicinali in una fase di vaglio meno avanzato e maturo. L’accesso al farmaco è per i pazienti gratuito (o quasi).
- I farmaci compassionevoli sono un argomento ancora troppo poco dibattuto, ma per pazienti senza altre risorse terapeutiche rappresentano una innegabile possibilità di speranza e sopravvivenza. Si può negare questa speranza?