All’inizio dell’anno scolastico basta entrare in una classe di primo anno di scuola materna per notare una curiosa ma non singolare scena: alcuni genitori non riescono a staccare da sé i propri bambini. Quanti notano, invece, che in buona parte sono i genitori stessi a tentennare nel lasciarli?
Sicuramente per tutta l’estate precedente non si è parlato di altro che del momento in cui il piccino avrebbe cominciato a frequentare la scuola e nella mente di alcuni genitori questi discorsi e preparativi non sono altro che forme esorcistiche per allontanare quanto più possibile quel momento e, infatti, alla resa dei conti, quel cordone invisibile stenta a rompersi, per paura che non si possa tornare indietro, come se fosse qualcosa di definitivamente irrecuperabile.
In parte lo è, perché l’evento scuola entrerà a far parte della vita del bambino fino a che non avrà raggiunto una piena autonomia, nella quale il genitore non sarà più l’unico suo riferimento ma sarà aggiunto a tutti gli impegni che il figlio prenderà da allora in avanti.
Molti esperti ed opinionisti hanno speso fiumi di inchiostro su cosa poter fare o si è fatto per preparare serenamente il bambino a questo momento importante della vita ma poche volte ci si è soffermati a considerare la cosa dal punto di vista del genitore.
Non è certo a causa di una minore attenzione ma, forse, a seguito di un archetipo che vede il genitore come la parte forte nel rapporto dualistico col figlio. La figura del genitore è illustrata e, di conseguenza, recepita come l’emblema della persona sicura e sempre priva di esitazioni, dal temperamento granitico e, nel contempo, con dei sentimenti profondi verso i figli. Tale paradigma nasce più dal desiderio di essere così che dal fatto reale in sé.
Se fosse vero sarebbe un paradosso perché, in realtà, quello del genitore è un ruolo in progressivo divenire che parte dalla nascita del figlio, non prima. L’imparare ad essere genitori passa anche attraverso le varie fasi di distacco. Quello della scuola materna è senza dubbio il primo importante distacco perché anche il bambino è cosciente molto più che non al nido.
Il genitore avverte la frustrazione di non essere sufficiente alla famiglia perché deve dividere il suo tempo fra lavoro e figli e, d’altro canto, vorrebbe essere il solo conduttore.
Il periodo dell’inserimento serve sicuramente al bambino per accettare il distacco dai genitori ma è molto utile anche agli stessi genitori.
Dopo la prima settimana, nella quale si inseriscono i bambini poco per volta, i genitori più legati possono uscire ma osservare i piccoli da lontano, cercando, quando possibile, di non interferire col lavoro degli educatori che operano sulla psicologia del bambino più che sugli affetti.
Il genitore, in questo caso, trova il suo centro di riferimento nell’altra metà della coppia che gli fa ridimensionare il ruolo e la posizione nella famiglia.
È un travaglio che dura pochi giorni ma serve, come tutte le cose dolorose, a dare vigore all’unione familiare che si ritrova a fine giornata tra le mura domestiche.