Lo hanno chiamato Mario in onore a Santa Maria Goretti, la cui ricorrenza cadeva il giorno in cui i medici della clinica ‘Mangiagalli’ di Milano lo hanno trovato nella ‘Culla della Vita’, vestito, avvolto in un lenzuolo ed adagiato là dentro con accanto tre tutine pulite ed un biberon che conteneva latte materno.
Il piccolo Mario è un bimbo venuto alla luce, probabilmente in casa, poco più di una settimana fa, sta bene anche se è sottopeso (al momento del ritrovamento pesava un chilo e 700 grammi) ma la sua mamma, dopo averlo cresciuto e nutrito in grembo per tutto il tempo che ha potuto (i medici hanno stimato la nascita intorno alla 35ma settimana di gestazione), non ha più avuto i mezzi e le risorse per continuare a crescerlo e nutrirlo ed ha dovuto abbandonarlo, il 6 luglio scorso, alle cure di chi poteva, meglio di lei, assicurargli una vita dignitosa ed un futuro migliore.
Una scelta dolorosa, sicuramente molto sofferta, frutto della disperazione, “una sconfitta – come ha detto Fabio Mosca, il primario del reparto di neonatologia della Mangiagalli – perché vuol dire che la mamma non ha trovato l’aiuto adeguato. Una madre ha abbandonato suo figlio e nessuno si è accorto che era in difficoltà”.
La ‘Culla per la vita’, la riedizione moderna e tecnologica della medievale ‘Ruota degli esposti’, è stata installata alla clinica Mangiagalli cinque anni fa, il 20 novembre 2007, grazie all’iniziativa dell’Associazione ‘Venti Moderati’, impegnata da anni a contrastare l’abbandono dei bimbi nei cassonetti della spazzatura, che ha donato la prima culla video sorvegliata alla città di Milano.
Si tratta di una struttura, dotata di tapparella automatica termoisolata, collocata di fianco all’ingresso della clinica, in via Commenda 10, e che fino al 6 luglio scorso non era mai stata usata.
Il suo funzionamento è semplice: in corrispondenza dell’accesso esterno alla struttura, con un apposito pulsante di comando, si attiva l’apertura della tapparella e si accede al vano che contiene una culla termica, collegata all’impianto elettrico e mantenuta sempre a calore costante. Dopo l’attivazione dell’apertura, la tapparella rimane alzata per circa un minuto, il tempo utile a chi abbandona il neonato di adagiare il suo corpicino sulla culla, e poi si richiude. Immediatamente dopo scatta la segnalazione ed i neonatologi e gli infermieri preposti al prelievo del neonato vengono avvisati (tramite sms, messaggi vocali, allarmi acustici) della sua presenza nella struttura. Il neonato viene così preso in carico e si procede con la prima assistenza e le cure necessarie.
Subito dopo la diffusione della notizia dell’abbandono del neonato, da tutta Italia, soprattutto dal Sud Italia, sono arrivate decine di telefonate al centralino della Mangiagalli per chiedere in adozione il piccolo Mario. Spetterà naturalmente al Tribunale dei Minori la decisione sulla sorte del bambino. Nel frattempo rimarrà ancora qualche giorno nella culla termica per essere poi trasferito nel reparto di neonatologia della clinica.
Malgrado la legge italiana riconosca alle donne il diritto di partorire in ospedale in completo anonimato e senza l’obbligo di riconoscere il bambino, sono purtroppo tanti i casi di abbandono neonatale, causati soprattutto dallo stato di clandestinità dei genitori che temono di esseri scoperti e quindi rimpatriati oltre che, in generale, da condizioni economiche e sociali che non permettono a tanti genitori di allevare i propri figli.
L’abbandono di questo bambino, ha detto Ernesto Caffo, presidente di Sos Telefono Azzurro, dovrebbe essere “un monito per tutti noi. Tutti, dal mondo politico a quello istituzionale e associazionistico, abbiamo una grande responsabilità: lavorare perché, soprattutto in un’epoca storica di grande incertezza economica, non siano le famiglie a pagare il prezzo della crisi e non siano, ancora una volta, bambini e adolescenti i più colpiti. Il rigore deve essere accompagnato alla crescita e la crescita di un Paese a sua volta, si misura nel sostegno che si dà alle famiglie e alle nuove generazioni”.