I giornali hanno pubblicato titoli sensazionalistici a riguardo di una tragedia che avrebbe potuto distruggere me, te o qualsiasi mamma dell’universo: il corpo stremato di una neomamma ha ceduto al sonno e il neonato che teneva al seno in quel momento si è spento tra le sue braccia.
Al risveglio, dopo un brutto colpo di sonno, già era una madre orfana del suo bambino.
Neonato di 3 giorni morto: poteva accadere a chiunque
La fatica fisica è quel mostro mangia-anima di cui nessuno ti parla prima del travaglio, del parto e dei primi mesi di vita del bambino e che pure esiste, è in agguato, ti aspetta nelle notti insonni quando la stanchezza è pronta a sopraffarti.
Una morte, simile a questa che la stampa ci sta restituendo con tanta ferocia, potrebbe accadere a qualsiasi mamma sola. Nella più atroce realtà, è accaduto a Lei: una giovane madre 29enne reduce da 10 ore di travaglio e un parto spontaneo, era sola in una stanza con altre 3 pazienti, era affaticata e certamente incompresa (se non inascoltata).
Le parti in causa, a dispetto della concentrazione (voyeur)giornal-istica sulla mamma, sono tre-quattro: l’Ospedale, inteso come luogo di nascita; mamma-papà, nonché l’intera famiglia intorno a loro; il bambino.
L’Ospedale in questione fa sapere che “non vi sono carenze di personale in servizio. Alle pazienti viene assicurata un’adeguata presa in carico”. In un’ottica di trasparenza e collaborazione con la Magistratura, è stata consegnata tutta la documentazione necessaria alle indagini.
La mamma e il papà, invece, sono completamente nudi, esposti e indifesi. È negativo l’esame tossicologico che presumibilmente voleva solamente scongiurare la correlazione tra il sonno e un possibile effetto farmacologico sul corpo della madre.
“Mio figlio è nato sano, quasi 3 chili e 400 grammi. Ero felice, era accanto a me. – Ha dichiarato la madre alla stampa – Poi mi sono risvegliata e lui non c’era più. L’infermiera mi ha informata di quanto era successo. Non ho capito più niente, mi hanno subito cambiato di stanza”.
Chi c’era in stanza con la mamma
Nella stessa stanza della mamma c’erano altri tre letti occupati da altrettante donne, sarà la magistratura a valutare se ascoltarle. La loro audizione potrebbe riempire un importante spazio temporale di 10 minuti, ovvero il lasso di tempo intercorso da quando l’infermiera ha controllato l’allattamento in corso e il momento in cui, invece, il bimbo è stato rinvenuto morto.
Il bambino era tra le braccia della mamma, su quel corpo che lo ha generato è morto. Ma come è successo?
Neonato di 3 giorni muore in Ospedale, le ipotesi
I giornali hanno scritto “soffocato” con riguardo alle cause del decesso del piccolo, ma non c’è alcuna certezza che le cose siano andate esattamente in questo modo.
“Soffocato” è una deduzione non ancora avvalorata da nessuna constatazione scientifica, l’autopsia farà chiarezza e ne va atteso l’esito prima di partorire titoli che assomigliano più a sentenze.
La mamma, a detta sua, aveva denunciato la sua stanchezza, aveva chiesto aiuto, eppure in quell’esperienza di rooming era sola.
Solo l’autopsia potrà fare luce sulle dinamiche del decesso del piccolo, dalla SIDS alla SIP (collasso neonatale improvviso e inaspettato). Ciò che, invece, si evince con certezza è la stanchezza della neomamma e su questa sarebbe indispensabile soffermarsi.
La stanchezza delle neomamme
La nascita di un figlio viene ancora narrata come un evento incontaminato, puro, miracoloso, ma c’è molto altro dopo la poesia di un attimo.
Ci sono corpi aperti, affaticati, sanguinanti, ormoni in cerca di equilibrio, seni carichi e dolenti, ore e ore di riposo fallite e perdute; c’è la paura di non essere abbastanza; vi sono braccia che cedono, occhi che si chiudono nella consapevolezza che bisognerà fare appello ad ogni risorsa. Ma tutto potrebbe non essere abbastanza per una mamma sola.
I punti fanno male, tanto, l’addome tira, il pannolone è gigante e punge, prude, irrita e graffia, ma nessuno come prima domanda rivolge alla mamma un banale “Come ti senti tu?”. Tutti vedono solo quello che la nostra cultura di facciata ci restituisce: il bambino, un nuovo fiore nel giardino del mondo e la mamma è costretta a recitare la parte della Madonna, che lo voglia o no.
La mia esperienza di mamma con la stanchezza del post-parto
Quando è nata la mia seconda figlia, la mia pancia fu tagliata per la seconda volta dopo soli 17 mesi; avevo 30 anni; quasi allattavo ancora il primo che dovetti sfamarne un’altra e il seno mi esplodeva su un addome che espandeva il suo dolore fino alla schiena, ma Dio solo sa quanto fossi felice, felice e stanca.
All’epoca (sono passati 14 anni), il decantato rooming era solo all’inizio della sua diffusione planetaria, al punto che 17 mesi prima (nella stessa clinica e alla nascita del mio primo bambino) alla sera ancora ritiravano i neonati per accudirli in nursery.
Avevo partorito 15 minuti prima delle 12:00 e allo scoccare della mezzanotte ero esausta.
Quando chiesi, con la forza di una donna che conosce i propri limiti, che mia figlia fosse portata in nursery, le ostetriche e le infermiere ci tennero a decantare l’importanza del contatto, della condivisione e di moltissimi verbi sacri che conoscevo e apprezzavo, ma di cui non avevo alcun bisogno in quel momento.
In quel momento mi serviva solo una siringa per allontanare il dolore e un po’ di riposo per evitare di addormentarmi con mia figlia in braccio o di precipitare sul pavimento nell’atto di cambiarle il pannolino, un azione banale che mi faceva paura per il solo fatto di dovermi sollevare dal letto e con quel dolore addosso.
La portarono via lamentando che sarebbe stata da sola, ma io ottenni la mia siringa e qualche ora di sonno. Da allora sono stata una mamma soddisfatta, presente, complice e, a mio modo, felice. Tuttavia non posso nascondere che in quel momento ebbi il dubbio e la paura di non poterlo diventare.
Ecco cosa deve restituirci la storia dolorosa e distruggente di questo bimbo volato in cielo tanto presto:
le mamme non sono figure mitologiche e nemmeno unte da Dio, sono donne che con buona probabilità dopo il parto proveranno dolore, resteranno affaticate e stanche. Il tabù della fatica che rende fallaci va vinto in famiglia, nella cultura e pure nei reparti di maternità. Le mamme hanno il diritto di essere stanche, il mondo ha il dovere di aiutarle!