La fitta rete di bugie costruita dalla mamma di Diana, la bimba di 18 mesi morta di stenti dopo esser stata lasciata da sola a casa per 6 lunghi giorni, si sta pian piano sgretolando. Alessia P., attualmente rinchiusa in carcere a San Vittore, ha difatti rivelato ai suoi avvocati l’identità del padre della piccola.
Una gravidanza inattesa
Durante il colloquio svoltosi la mattina di mercoledì 3 Agosto con gli avvocati difensori, Alessia P. ha rivelato l’identità del padre di sua figlia. Fino a quel momento la donna aveva dato diverse e contrastanti versioni riguardo la gravidanza, il parto e la paternità della bambina.
La stessa aveva inizialmente affermato che nessuno, lei compresa, era a conoscenza dell’identità del papà di Diana e di aver scoperta la gravidanza solo al settimo mese di gestazione. La piccola è poi venuta alla luce prematuramente il 29 Gennaio 2021, un parto inatteso ed improvviso avvenuto nel bagno di casa.
Morte di Diana: chi è il papà della bambina
Secondo quanto riportato dalla stampa nazionale, Alessia P. “avrebbe conosciuto in maniera estemporanea” un uomo, un italiano indicato come il padre biologico della bambina. Quest’ultimo non ha mai saputo della gravidanza perché in quel periodo la donna era impegnata a riallacciare i rapporti con il suo (ex) compagno, il 58enne di Leffe (BG). E proprio nel timore di perdere il compagno, nonché nel subire il giudizio dei parenti, Alessia avrebbe cercato di nascondere la dolce attesa.
Un altro importante tassello si aggiunge dunque a questa già intricata vicenda, un ulteriore indizio utile non certo a risolvere l’omicidio quanto a ricostruire la breve vita della piccola e i motivi che hanno spinto la mamma di Diana ad abbondonarla e lasciarla morire nel più atroce dei modi.
Morte di Diana: atteso esame tossicologico
Resta ancora da chiarire la presenza o meno di tranquillanti nel biberon che la donna ha lasciato nella culla, un esito, quello degli esami tossicologici, che potrebbe cambiare radicalmente lo scenario giuridico dell’imputata.
Attualmente accusata di omicidio volontario pluriaggravato con l’aggravante di futili motivi, l’eventuale prova della somministrazione di tranquillanti alla piccola cambierebbe l’accusa in omicidio preterintenzionale e spiegherebbe perché nessuno abbia sentito Diana piangere disperata in quei tragici 6 giorni.