Torturato ed usato come cavia da laboratorio per aver espresso il desiderio di voler rivedere la sua mamma: questo il destino di Sergio de Simone, un piccolo uomo divenuto angelo a soli 7 anni, il cui nome figura nella lunga lista delle vittime dell’Olocausto, uno dei tanti, troppi, piccoli protagonisti del più aberrante e sconvolgente capitolo della storia dell’uomo.
Sergio de Simone: cavia umana a 7 anni durante la Shoah.
Quella che sto per raccontarvi è la storia del piccolo Sergio de Simone, un bambino napoletano diventato a soli 7 anni vittima degli orrori del Terzo Reich e dei loro alleati, autori questi ultimi del più violento e crudele genocidio perpetrato tra il 1933 e il 1945 e conosciuto con il termine Shoah (letteralmente tradotto dall’ebraico “catastrofe, distruzione”).
Voglio raccontarla perché quelle terribili e raccapriccianti vicende restino vive nella memoria di tutti noi e mai più si ripetano.
“Qui sosta in silenzio, ma quando ti allontani parla”.
È l’epitaffio presente sulla lapide situata nel giardino di rose bianche della scuola di Bullenhuser Damm (oggi Janusz Korczak Schule), un monumento dedicato ai 20 bambini ebrei, tra cui Sergio de Simone, che vennero trucidati proprio in quella struttura dopo esser stati torturati e usati come cavie da laboratorio nel campo di concentramento di Neuengamme.
Un invito che rivolgo a te ora: soffermati su questa storia, leggila in silenzio e, quando avrai finito, racconta ad altri di quei bambini affinché nessuno debba più vivere un’esperienza così atroce.
Sergio de Simone era figlio di Eduardo de Simone, un italiano cattolico, sottufficiale nella Marina Militare Italiana, e Gisella Perlow, ucraina di origine ebraica. Una volta unitasi in matrimonio, la coppia si stabilì a Napoli dove il piccolo nacque il 29 novembre del 1937.
Con l’inizio della guerra e la chiamata alle armi del capofamiglia, nell’agosto del 1943 mamma e figlio si trasferirono a Fiume, città della Croazia dove risiedeva la famiglia della donna. Lì, come d’abitudine, trascorsero tranquillamente l’estate decidendo di rimanervi anche nei mesi successivi data l’assenza da casa del sottufficiale e l’incombenza della guerra nel Paese di residenza.
Purtroppo nel settembre del 1943 la città cadde sotto il Terzo Reich e nel marzo del 1944 ben undici componenti della famiglia Perlow furono arrestati. Tra questi vi erano il piccolo Sergio de Simone (6 anni all’epoca), sua madre e le sue cuginette Andra e Tatiana Bucci (rispettivamente 6 e 4 anni al momento dell’arresto), quest’ultime divenute in seguito celebri per esser state le più piccole superstiti italiane del campo di concentramento di Auschwitz.
Trasportata al campo di concentramento della Risiera di San Sabba, l’intera famiglia venne poi trasferita ad Auschwitz. Come di consuetudine, madre e figlio furono separati, Sergio de Simone e le sue cuginette vennero sistemati nella “Baracca dei bambini” dove alcuni mesi dopo fu messo in atto il più crudele degli inganni.
Ai piccoli presenti nella baracca fu chiesto:
“Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti”.
Con la speranza nel cuore, seppur avvertito dalle cuginette di non rispondere a quell’invito, Sergio de Simone si vece avanti e con lui altri 19 bambini formando un gruppo di 10 maschi e 10 femmine di nazionalità mista (Jugoslavia, Paesi Bassi, Polonia, Francia e Italia).
I piccoli ignari volontari caddero così nella trappola dei tedeschi che li prelevarono e li portarono a nel campo di concentramento di Neuengamme il 29 novembre del 1944, il giorno del settimo compleanno di Sergio de Simone, ad attenderli il dottor Kurt Heissmeyer, medico tedesco disposto a tutto pur di conquistare una cattedra universitaria.
Quest’ultimo infatti, pur non avendo alcuna conoscenza scientifica nel campo dell’immunologia o della batteriologia, aveva convinto Leonardo Conti, all’epoca Presidente della Camera dei medici tedeschi e capo della sanità del Reich, a farsi assegnare un laboratorio sperimentale nel campo di Neuengamme dove, nell’aprile del 1944, iniziò i suoi esperimenti su cavie umane, fortemente intenzionato a scoprire un nuovo vaccino per la tubercolosi polmonare.
Inizialmente si servì di 32 prigionieri di guerra russi – gli uomini vennero rinchiusi nella baracca 4a – che vennero sottoposti ad una regolare iniezione di bacilli della tubercolosi che, secondo Heissmeyer, avrebbe permesso al loro corpo di sviluppare gli anticorpi contro la malattia. Oltre a non sortire alcun risultato, l’esperimento portò alla morte di 4 prigionieri.
I 20 bambini tratti in inganno servirono a rimpiazzare i prigionieri, difatti, appena furono giunti nel campo di concentramento questi vennero tenuti sotto osservazione in completa tranquillità con lo scopo di farli arrivare all’inizio delle sperimentazione in buone condizioni di salute. Una calma che durò fino al gennaio del 1945 quando diventarono ufficialmente delle cavie umane.
Il dottore Kurt Heissmeyer iniziò a sottoporre i bambini, che avevano un’età compresa tra i 5 e i 12 anni, ad iniezioni di bacilli tubercolari facendoli ammalare nel giro di poche settimane. Un paio di mesi dopo, più esattamente nel mese di marzo, Sergio de Simone e i suoi sventurati 19 compagni vennero sottoposti all’asportazione chirurgica dei linfonodi presenti nella zona ascellare per verificare in essi la presenza di anticorpi contro la tubercolosi.
Ancora una volta l’esperimento non diede esito positivo: l’analisi delle ghiandole linfatiche infatti non evidenziò la formazione di alcun anticorpo. Non avendo riscosso il successo sperato, il medico lasciò il campo di concentramento di Neuengamme.
Messi alle strette dall’imminente arrivo degli alleati, il comandante del campo chiese istruzioni sul destino dei bambini. Il 20 aprile arrivò da Berlino l’ordine di far scomparire ogni possibile traccia degli esperimenti avvenuti in quel campo di concentramento.
Nella notte tra il 20 e il 21 aprile del 1945, Sergio de Simone e gli altri 19 bambini, insieme a 2 medici francesi e i 2 infermieri olandesi che si prendevano cura di loro, oltre ad altri 14 prigionieri di guerra russi, furono caricati su un camion e trasportati nella scuola di Bullenhuser Damm, nella periferia di Amburgo, edificio anch’esso adibito a campo di concentramento.
I primi ad essere uccisi per strangolamento negli scantinati della struttura furono proprio i medici e gli infermieri che avevano il compito di prendersi cura dei bambini che, ormai privati delle uniche persone in grado di proteggerli, subirono un’iniezione di morfina prima che i loro piccoli corpi debilitati dalla malattia venissero appesi a dei ganci posti nella stanza ed impiccati.
Dopo aver tolto la vita anche i prigionieri russi, i militari tedeschi recuperarono il corpo esanime di Sergio de Simone e degli altri 19 bambini per riportarli al campo di Neuengamme dove vennero cremati.
Lo scopo era quello di non lasciare alcuna traccia, di cancellare per sempre l’esistenza di quelle piccole 20 anime torturate e martoriate, ingannate con la promessa di rivedere i loro genitori, la loro famiglia.
Sergio de Simone: una storia che non deve essere dimenticata.
Inizialmente accantonata e pian piano dimenticata, la tragica storia dei piccoli angeli di Bullenhuser Damm è stata riportata alla luce nel 1978 dal giornalista Günther Schwarberg che, grazie ai suoi scritti, ha evitato che Sergio de Simone e gli altri 19 bambini cadessero nel più profondo oblio.
La lista dei loro nomi, stilata durante gli esperimenti ed affidata all’epoca alla Croce Rossa, è oggi pubblicata sul sito dell’Associazione dei bambini di Bullenhuser Damm, che, oltre a mantenere vivo il loro ricordo, continua a tenere uno stretto contatto con i parenti delle piccole vittime.
Dal 1980 nella cantina della scuola di Bullenhuser Damm, luogo dell’orrendo eccidio, è stato allestito un museo interamente dedicato a quei bambini mentre ogni 20 aprile, giorno in cui si celebra “Il Giorno del Ricordo”, l’edificio accoglie la cerimonia commemorativa alla quale partecipano i cittadini di Amburgo ma soprattutto i familiari delle vittime come la mamma di Sergio de Simone che, sopravvissuta alle barbarie del Terzo Reich, prese parte alla celebrazione del 20 aprile del 1984, un anno dopo la morte del marito.