Ho amato Elisa, l’ho fatto come tanti e la amo ancora perché se c’è qualcosa che resta oltre ogni dolore è questo: l’amore. Questo amore lo devo a Fabio e a Sabina, alle loro foto, ai racconti, alla testimonianza che hanno fatto della sofferenza. Ho pensato spesso a come tributare stima e affetto a Sabina Ursuleac, la mamma della piccola Elisa Pardini, la bimba di cinque anni deceduta lo scorso aprile dopo una lunga lotta contro un’aggressiva forma di leucemia.
Non sapevo da dove partire per inviare a Lei e a Fabio solo un messaggio: l’amore di Elisa vive grazie a voi e ci sono tante mamme, come me, che ne vogliono essere testimoni.
Niente mi sembrava abbastanza per descrivere una simile sopravvivenza, nessuna parola scivolava con efficacia dalla mente alle mani e sulla tastiera. Poi ho visto questa foto (l’immagine di copertina di questo scritto, pubblicata su Facebook da Fabio, il papà di Elisa) e ho capito:
raccontare il coraggio di Sabina Ursuleac è il più grande tributo possibile, non solo onora la memoria della sua piccola combattente ma segna il passo di ogni madre perché conduce a una più profonda consapevolezza sull’importanza della normalità della vita, sul dono prezioso dei figli e della famiglia.
“Teneteveli stretti e amateli più che potete…non c’è niente di così più importante”, ha scritto papà Fabio, in un altro post ed è vero.
Normalità è salute e pace: la vita di Sabina Ursuleac, Fabio e Elisa Pardini è e deve restare, testimonianza vigorosa esattamente di questo.
Sabina Ursuleac, 46 anni, è una mamma come poche, non fosse altro che per i luoghi che hanno segnato la sua genitorialità. Questa madre coraggio ha lasciato Elisa al volo delle sue ali prima che la bimba compisse 6 anni.
Gli ultimi 4 anni della breve vita di Elisa sono stati tutti “confinati” dentro stanze di ospedale, in particolare gli ultimi 3 anni mamma e figlia li hanno “consumati” in una stanza del nosocomio Bambin Gesù di Roma.
Consumare non uso questo verbo a caso e non vuol dire utilizzare con foga e nemmeno sprecare o perdere, consumare vuol dire corrodere a poco a poco e non c’è verbo più idoneo a dare il senso che trova conferma nella foto di Sabina Ursuleac al capezzale della figlia:
Sabina, Fabio e Elisa hanno scavato con le unghie dentro ogni attimo; i minuti, le ore e i giorni se li solo mangiati a morsi e si sono aggrappati con gli artigli al coraggio e alla voglia di vivere di Elisa!
Eravamo tutti sicuri che quella piccola leonessa ce l’avrebbe fatta, la mamma per prima la ricorda immersa in un mondo fatto di positività e voglia di vivere. Malgrado il contesto in cui la sua vita scorreva, ovvero le stanze di un ospedale, Elisa restava il sole, sempre positiva in tutto.
“Elisa sopportava il dolore con una forza incredibile e noi eravamo convinti che ce l’avrebbe fatta, anche quando i linfociti del donatore hanno attaccato cute e intestino“, ricorda la mamma ripensando anche a quella volta in cui la pelle di Elisa, proprio in risposta alla donazione, subì terribili ustioni che la piccola accetto’ pur di guarire, la sua voglia di vivere era accanita e tenace.
(Citazione tratta da IlMattino – intervista alla mamma di Elisa, Sabina Ursuleac)
Elisa è venuta a mancare lo scorso aprile a causa della “leucemia più grave che ci sia”, come potrebbe dire un bambino, ovvero di una forma aggressiva della patologia e dopo aver subito due trapianti di midollo osseo non risultati, però, efficaci ai fini della guarigione.
Probabilmente i trapianti non diedero gli sperati esiti a causa dell’aggressività iniziale della malattia.
”Io la sento, Elisa, di sera, di notte, il suo profumo, la sua testolina sulla mia spalla. Mi dà suoi segnali ogni giorno, in un una coccinella, una farfalla. Io sento rumori e parlo con lei la sento vicino. [.. .] Questo mi dà la forza.”
(Citazione da IlMattino in una toccante intervista alla mamma di Elisa, Sabina Ursuleac)
Se Elisa deve ispirarci al sostegno alla ricerca, alla cura della normalità all’amore per i nostri figli, la storia di Sabina Ursuleac e della sua bimba ci insegnano anche che l’istinto materno non sbaglia mai:
anche quando i medici si dicevano convinti della buona salute complessiva di Elisa, mamma Sabina sapeva e sentiva che c’era qualcosa che non andava.
“Molti medici commettono l’errore di non credere alle mamme, gli dicono di fare la mamma e non il medico ed è sbagliato perché quello che sente una mamma su un figlio non lo potrà mai studiare un medico. Ho incontrato medici che ascoltavano le mamme, e medici no e con questi ultimi è stato tutto molto più difficile.“
(Citazione da IlMattino in una toccante intervista alla mamma di Elisa, Sabina Ursuleac)
Già a 3 mesi Elisa manifestava sintomi di malessere, crisi epilettiche e sincopi condussero mamma Sabina Ursuleac ad andare a fondo sino a scovare un problema al cuore: la Sindrome del QT lungo, una condizione cardiaca patologica che ha una base genetica, di importanza vitale scoprirla sin dai primi mesi di vita poiché può portare a morte improvvisa, si ritiene che possa essere una possibile causa della morte in culla.
“Da lì abbiamo scoperto poi che c’era altro”, racconta Sabina.
Da lì la strada in salita e poi l’ospedalizzazione e la vita senza passi fuori dai corridoi dell’ospedale, senza distinguere giorno o notte, priva di sonno e carica di preoccupazioni, tutto con l’unico scopo di salvare Elisa.
Mi colpisce diritta al cuore mamma Sabina quando dice a IlMattino: “Non ho camminato né dormito per 4 anni, ho ora problemi di salute. Dormivo poco, ero sempre sveglia. Avevo il congedo per 2 anni, poi tante amiche e colleghe mi hanno dato le ferie solidali. Colleghi che mi hanno voluto tanto bene, anche nel 2019. Sono stata molto fortunata. Ho avuto il sostegno di tutti, anche di chi inizialmente non mi aveva creduta”.
Sabina faceva uscire Elisa dall’ospedale con la fantasia: per 3 anni interi hanno vissuto tutta la vita sul letto e nella stanza di ElIsa, ma un lenzuolo azzurro e giallo poteva diventare il mare e il sole, e, solo dietro i loro occhi chiusi, mamma e figlia erano capaci di vedere la spiaggia e il cielo irradiato di luce: “ … ed Elisa sentiva il profumo dell’acqua e le onde e la sabbia. Sentiva tutto solo con il pensiero, rivivendo cose che aveva vissuto, per quel poco che lei aveva vissuto”, racconta Sabina Ursuleac nell’intervista recentemente rilasciata.
Sabina Ursuleac è un’infermiera, lo era agli occhi di Elisa che l’altruismo lo ha certamente appreso dalla mamma: “Quando li sentiva piangere nelle altre stanze mi diceva:
– Mamma vai a vedere. Sei un’infermiera, sei speciale, mi hai curata benissimo, perciò vai tu, vai a parlare con le altre mamme. E io lo facevo, portavo la mia esperienza. Anche se non stavano bene gli altri bambini, lei mi mandava da loro. E io cercavo di prendermene cura, anche solo con una parola di conforto.”
Questa era Elisa e questo quello che Sabina custodisce oggi per noi, una memoria che è viva speranza anche mentre Elisa ci guarda dal cielo sorretta dalle più belle e grandi ali bianche del paradiso.
Sabina Ursuleac rivela un dettaglio della morte di Elisa che non può suggerirmi una richiesta volta a ciascuno di voi, a ciascuna mamma di Vitadamamma:
“Quando è morta (Elisa, ndr) aveva un’immagina della Madonnina in mano”.
Elisa ha sofferto tanto, la mamma quella sofferenza la sente ancora viva sul cuore: “Non l’ho mai sentita urlare nemmeno con un dolore tanto lancinante come quello che provava. L’unico giorno che l’ho sentita dire “Ho male al cuore, non riesco a respirare, mamma ho tanto dolore e non è come le altre volte” e ha chiesto aiuto, è stato quando è finita. Era Giovedì Santo 9 aprire verso le 14.30. Per lei il dolore era un passo verso quella guarigione che non è mai arrivata.”
Cosa chiedo a voi? Perchè la Madonnina che Elisa stringeva tra le mani non reti solo un simulacro e il dolore non resti solo una faticosa memoria, vi chiedo più di una semplice preghiera: vi imploro di portare la testimonianza di Sabina Ursuleac, la mamma di Elisa, molto molto lontano.
Tutti devono sentire il cuore stringersi per Elisa non semplicemente per condividere il dolore, ma perché questa bambina divenga la testimonianza di una lotta che non si arrende al male e la ricerca divenga la più straordinaria arma da sostenere in nome di tutti i bambini speciali.