Il Reggio Approach (noto anche come metodo emiliano) è il metodo scolastico italiano che il mondo intero ci invidia; la paternità di questa filosofia dell’educare sociale e esperienziale è di Loris Malaguzzi (nato a Correggio nel 1920 e morto nella sua Emilia nel 1994).
La prima scuola dell’infanzia ispirata al metodo Reggio apre negli anni 60 (1963), gli asili nido seguo di poco (il primo apre nel 1971). Non stiamo snocciolando date a caso, qui la collocazione temporale è importane perché ci dà la misura dell’innovazione di un metodo che è dei nostri giorni.
Il Reggio Approach è una metodologia partecipe e conscia della nostra realtà, pienamente aderente a quello che ora e adesso è il nostro bambino, la creatura del nostro tempo.
La grande rivoluzione del Reggio Approach sta nella considerazione del bambino:
la scuola reggiana non è una scuola “per” il bambino, essa è una scuola “con” il bambino e questa “collaborazione” è foriera del riconoscimento di una serie di diritti in capo al bimbo protagonista.
Di fatto il percorso educativo che Malaguzzi disegna è un percorso di formazione inclusiva di molte e diverse esperienze (la teoria dei 100 linguaggi del bambino ne sarà l’asse portante). Detto percorso ha carattere sociale, infatti a esso partecipano con pieno diritto decisionale adulti e bambini:
il bambino non è semplicemente attivo nel suo iter di crescita, egli è parte attiva e portatore di diritti in un percorso che lo vede crescere\evolvere insieme all’adulto.
L’apprendimento del Reggio Approach è un’esperienza relazionale sulla quale investe l’intera comunità sociale.
Le scuole di Malaguzzi partono dall’assunto che conoscenza, crescita e socializzazione sono parte di un unico disegno e la società reggiana ha aderito e fatto sua questa prospettiva partecipando attivamente al Reggio Approach, non a caso ogni scuola gode di un Consiglio Infanzia Città, organo di coordinamento nel quale confluiscono educatori, atelieristi, pedagogisti, famiglie, cittadini e operatori.
Quest’organo dà concretezza al rapporto società-istituzione scolastica, dando altresì valore alla collegialità e alla relazionalità.
Il bambino del Reggio Approach è soggetto attivo della sua formazione, è portatore di propri diritti e di sue stesse idee che meritano di essere considerate, sia nella cooperazione tra pari che nella cooperazione con gli adulti.
In una delle più recenti e ultime interviste televisive a Loris Malaguzzi è lui stesso a parlare di affermazione del bambino attraverso le sue stesse idee, nonché di crescita per mezzo della loro realizzazione operativa. Nello specifico, il pedagogista mostra alle telecamere il Lunapark degli uccellini, così come realizzato dai bambini e presentandolo afferma: “I bambini hanno deciso che gli uccellini potevano divertirsi oltre che mangiare“. Di fatto Malaguzzi presentò in quella intervista un progetto che i bambini avevano realizzato mettendo a frutto competenze plurime di manipolazione, costruzione, progettazione e, come lo stesso pedagogista ammette, affrontando problematiche di idraulica e ingegneria.
Ecco spiegata la teoria dei 100 linguaggi attraverso un esempio concreto: secondo il Reggio Approach il bambino ha 100 linguaggi ciascuno dei quali è un mezzo di comunicazione col mondo.
Il bambino cresce imparando con tutto se stesso, un apprendimento complessivo è quello che supera la dicotomia corpo – mente, e questo, se vogliamo, può constatarlo qualunque genitore. Nel Reggio Approach l’ambiente è considerato e concepito come un interlocutore educativo in cui il bambino – attivo e operativo – si inserisce per prendere coscienza, sperimentare, ricercare e formarsi.
Gli atelier sono quei laboratori, luoghi dove tutto è possibile, in cui il bambino si muove in un ambiente predisposto perché l’esperienza si traduca in conoscenza: ne sono esempio gli atelier della luce dove la luce viene misurata con la forma e il peso del corpo, la forma il peso e la consistenza di oggetti più o meno trasparenti e più o meno colorati (pezzi di plastica o specchi riflettenti), nonché con l’acqua.
Loris Malaguzzi diceva che ogni persona, uomo donna o bambino, ha bisogno di un “golfo” dove il silenzio lo aiuti a pensare. Gli atelier sono “golfi” dove il silenzio (che come fu per la Montessori non è totale assenza di suoni) è rappresentato dal rumore del pensiero che segue l’evoluzione dei materiali nell’esperienza che il bambino ne fa.
Nel Reggio Approach il bambino non dispone di materiali preconfezionati: gioca con materiali naturali (sabbia, acqua, tronchi di legno) e con materiali di riciclo (stoffe, plastica). Nessun gioco o materiale deve essere proposto al bambino in modo protocollare perché il bimbo, in quanto portatore di un personale approccio verso le cose, ha diritto di rielaborare e rivisitare l’esperienza con le cose stesse così da farne autonomo percorso di approccio al sapere.
Se è vero che i bambini hanno 100 linguaggi, cioè una moltitudine di modi comunicare – modi non solo verbali – è anche vero che l’adulto, che nel suo ruolo di formatore è osservatore modesto e guida – deve sapere ascoltare e accogliere: la comunicazione è innanzitutto figlia dell’ascolto.
L’ascoltare diventa, quindi, il verbo principale della scuola, in un’ottica pienamente conforme all’osservare il fanciullo (Bruner, pedagogista americano molto affezionato al Reggio Approach, sosteneva che il punto di partenza dell’educare sta proprio nell’osservare).
Il Reggio Approach contiene in sé la soluzione a quello che è uno dei problemi più dolorosi e insistenti della scuola contemporanea: il bullismo.
Il bambino, riconosciuto come portatore di diritti e come elemento capace di partecipare a decisioni condivise, impara il rispetto nella cooperazione e nella condivisione. Ciascun bambino impara che gli altri bambini, suoi pari, sono alla sua stessa stregua, tutti portatori di diritti e impara che è dalla condivisione che si arriva alla costruzione. In questa filosofia cooperativa, in cui anche il diversamente abile non è disabile, ma portatore di diritti speciali, l’isolamento non trova alcuno spazio.