“Laggiù non c’erano turni. Lì il lavoro continuava instancabilmente fino a quando venivano a mancare le forze. La frase era: – Vado via, non riesco nemmeno a tenere il martello“. E’ così che viene descritto il clima del recupero del bimbo caduto nel pozzo a Totàlan. A parlare è Nico, la Guardia Civile che ha preso tra le braccia il cadavere di Julen e lo ha portato in superficie.
“Sono entrato in buchi più stretti e claustrofobici, ma quello … alzi lo sguardo e pensi: – Se succede qualcosa qui …“, è così che l’esperto membro della Guardia Civile descrive la maestosità dell’opera ingegneristica che portò minatori e gli agenti al recupero del bimbo caduto nel pozzo.
La testimonianza di Nico, Guardia Civile spagnola, fa luce sul recupero di Julen e sull’immane fatica che questi uomini hanno fatto, non senza mettere a repentaglio anche loro stessi e le loro anime, affrante da quello che accadeva
E’ stato reso noto che l’individuazione del piccolo è avvenuta grazie alla società Stockholm Precision Tools (SPTAB) che ha messo a disposizione delle autorità il suo strumento GyroSystem, si tratta di un processore finalizzato alla geolocalizzazione sotterranea attraverso una serie di processi complessi che riescono a tenere conto del movimento della terra:
seguite l’azimuth 325, questa l’indicazione che ha reso possibile il recupero del bimbo caduto nel pozzo a Malaga.
Nico, la Guardia civile che ha recuperato Julien, rivela che inizialmente gli sforzi si erano concentrati sul “risucchiare la terra finita nel pozzo” a seguito della caduta del bambino. Questa operazione è andata avanti sino a quando un tubo non si è spezzato bloccando anche la sonda e la telecamera di controllo, ci sono volute 36 ore per sbloccare il tubo ed è stato sconfortante per chi combatteva sul posto:
la terra, complice l’umidità, era come cementificata e risucchiarla non era più possibile. E’ questo il tappo di cui tanto si è parlato nei giorni terribili del tentato salvataggio di Julen.
Per 13 giorni, dal 13 al 26 gennaio, nella casa di Nicolás Rando, Nico per gli amici, non si è parlato che di Julen e dei disperati, faticosi, partecipati tentativi di riportarlo alla luce. Tutte le mattine il figlio della Guardia Civile lo salutava chiedendogli:
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- Papà, hai intenzione di salvare Julen oggi.
E tutti i giorni Nico rispondeva:
- Lo spero, figliolo, lo spero.
Il 26 gennaio, nelle ultime fasi del salvataggio, la parte finale di terra che separava i soccorritori da Julen è stata penetrata da una telecamera e si è potuto osservare il bambino.
Recupero del bimbo caduto nel pozzo, scendevano sempre un minatore e una Guardia Civile, quest’ultimo funzionario di Stato aveva il compito di Ufficiale Giudiziario, avrebbe dovuto assistere il bambino se fosse stato vivo o registrare lo stato dei luoghi e le condizioni della salma in caso di decesso.
Nico ha avuto, quindi, il compito più ingrato: ha preso tra le braccia il cadavere di Julen e agendo con discrezione lo ha portato in superficie sino a quella tendostruttura dove era atteso da due medici legali. Da lì Julen è andato via alle quattro del mattino, già angelo da molti giorni.
Massimo era il riserbo sul recupero del bambino caduto nel pozzo, la famiglia doveva ricevere le informazioni per prima
“È stato il mio turno. Da lì, ho avuto sentimenti contrastanti. Un po’ di sollievo per aver finito il lavoro. Ma ero infuriato per il risultato. Non era vivo, e questo era il peggio che potesse accadere. Ma abbiamo dato tutto“, Nico riconosce che la sola consolazione è aver fatto tutto il possibile, oltre al fatto che i referti autoptici hanno dimostrato che Julen è morto nella stessa giornata dell’incidente e in conseguenza ai traumi riportati con la caduta.
Quando lo lasciò Julen nella tenda, dove i due medici forensi dovevano operare i loro primi accertamenti sulla salma, Nico si è rifugiato da solo in un posto lontano dalla piattaforma di lavoro ed è crollato commosso, affranto, esausto, provato. In poche parole: l’eroe ha lasciato posto all’uomo.