Gentile, pacato e mai fuori luogo, un uomo con dei modi che sembrano appartenere ad altri tempi, spesso in contrasto con quelli più “rudi” della componente maschile delle coppie che lui stesso presenta.
Questo è Filippo Bisciglia, l’ex concorrente del Grande Fratello divenuto presentatore ma soprattutto colonna portante del programma Temptation Island.
Filippo Bisciglia di Temptation Island: “Ho sconfitto una malattia rara”.
Classe 1977 – 41 anni festeggiati lo scorso 24 Giugno – Filippo Bisciglia ha partecipato nel 2006 alla sesta edizione del Grande Fratello classificandosi secondo, subito dietro al vincitore Augusto De Megni, un nome già noto alle cronache italiane in quanto a soli 10 anni fu vittima di un sequestro organizzato dall’Anonima sarda che lo tenne prigioniero per 110 giorni, ossia dal 3 ottobre 1990 al 22 gennaio 1991.
Dopo diverse partecipazioni televisive, come conduttore, inviato e attore – nel 2010 è Cristiano Cocco in Un posto al sole – Filippo Bisciglia viene notato da una delle regine della televisione, Maria De Filippi, che nel 2014 lo volle alla conduzione di Temptation Island, programma che mette a dura prova l’amore delle coppie che vi partecipano.
Una scommessa vinta brillantemente, Filippo Bisciglia infatti è stato confermato per le quattro edizioni successive tra le quali vi è stata la parentesi di “Tale e quale show”, programma Rai condotto da Carlo Conti al quale ha preso parte nel 2017 dando prova anche delle sue doti canore.
Insomma un uomo all’apparenza perfetto che non si descrive assolutamente come tale, al contrario Filippo Bisciglia si definisce un ragazzo semplice e vero con tanti difetti:
“Sono puntiglioso, secchione, permaloso, rompiscatole. Per esempio, al falò (di Temptation Island – ndr), dove mostro i video alle coppie, se la sabbia è stesa male la faccio sistemare”.
Reduce dal successo avuto con l’ultima edizione del noto programma prodotto da Maria De Filippi, Filippo Bisciglia si è raccontato in un’intervista al settimanale Tv, Sorrisi e Canzoni.
Tra lacrime e risate, il conduttore ha ricordato la sua infanzia non propriamente felice, i suoi primi anni di vita infatti sono stati caratterizzati dalla malattia, il morbo di Perthes.
«Ho avuto un’infanzia molto bella, ma dai due ai quattro anni non ho potuto camminare. Avevo il morbo di Perthes, una malattia degenerativa che riduce l’uso degli arti inferiori. Mio nonno mi ha costruito una macchinetta con le rotelline e mi portavano in giro così. Sono stato fortunato perché ho conosciuto il professor Milella che ha trovato la soluzione per questa malattia sperimentandola su di me. Sono nei libri di Medicina. Sono stato il primo bambino a non rimanere zoppo”.
Conosciuto anche come morbo di Calvé-Legg-Perthes, il morbo di Perthes è una malattia infantile – si manifesta tra i 2 e i 12 anni con prevalenza tra i 5/6 anni ed è più comune nei maschi – che colpisce l’anca, nello specifico la testa del femore.
Le cause di questa patologia sono ancora sconosciute mentre è possibile descrivere i sintomi e/o i segni clinici più comuni: andatura claudicante, dolore alle anche, alle cosce e alle ginocchia e ridotta mobilità dell’anca. Durante il corso della malattia, è inoltre possibile notare una diversa lunghezza degli arti inferiori e un’atrofia muscolare nell’area che circonda l’anca.
Secondo quanto riportato sul portale delle malattie rare e dei farmaci orfani, il morbo di Perthes ha un’incidenza annuale molto variabile, si parla di 1 bambino su 250.000 ad Hong Kong e di 1 bambino su 18.000 nel Regno Unito.
Al momento il trattamento consiste nell’uso di tutori e in sedute di fisioterapia. Tuttavia vi sono ancora diversi studi in corso che mirano a far fronte alle complicazioni fisiche che insorgono nel lungo termine.
Lo stesso Filippo Bisciglia racconta di aver superato quel grande ostacolo grazie ad una cura sperimentale, un trattamento che gli ha permesso di non restare zoppo.
“Questa esperienza mi ha forgiato il carattere: la voglia di vincere e fare bene viene da lì. A sei anni ho partecipato a una gara di corsa. Avevo una gambina di ferro e uno scarpone grande per bilanciare la differenza tra gli arti. Ricordo il rumore che faceva sull’asfalto, ma ho vinto e mi soprannominarono Kawasaki. Mi piaceva il calcio, ma non potevo giocare perché se lo facevo zoppicavo. Quindi scelsi il tennis e mi impegnai al massimo, tanto che a 10 anni vincevo qualsiasi torneo a cui partecipassi”.
La malattia è stata quindi per lui un’esperienza che ha contribuito a renderlo l’uomo di oggi, un uomo le cui doti è difficile non poter notare e, non è un caso, se sono molto apprezzate dal pubblico.
Fonte: Tv, Sorrisi e Canzoni – Orpha