La diagnosi di iperattività, cosiddetta A.D.H.D, spetta al pediatra su parere positivo del neurologo; sono questi gli specialisti che coordineranno il lavoro di cura dei bambini iperattivi direzionando l’operato delle famiglie e coordinando eventuali altri interventi professionali.
Nessuna maestra, educatrice, mamma, nonna o zia dovrebbe mai parlare (eventualmente a sproposito) di iperattività.
L’irrequietezza, e anche una certa reticenza ai vincoli educativi, non è sinonimo di “turbamenti psichici”, men che meno di iperattività infantile.Questo deve essere chiaro a tutti!
Un bambino identificato come “elemento di disturbo in una classe” perché distratto, perché non sta mai seduto al suo posto e si alza spesso, è un iperattivo?
Un comportamento anti-sociale (o più semplicemente fuori dalle regole, cioè irregolare) può in sè fondare una diagnosi di iperattività?
La risposta a queste domande è no, non basta un atteggiamento di “manifesta opposizione ai dettami sociali” a fare del bambino un iperattivo.
L’iperattività è una sindrome che provoca deficit serissimi di attenzione:
si stima che un bimbo iperattivo non regga la concentrazione per più di 20 secondi consecutivi; l’iperattività infantile, inoltre, determina una costante irrequietezza motoria che va ben oltre la vivacità.
Nel giudizio cognitivo (e infine scolastico) complessivo, il bambino iperattivo difetta nell’apprendimento. Questo non significa che non è intelligente o non comprende, significa che non canalizza le proprie energie – sia fisiche che emotive – nell’apprendere le competenze come impartite e istruite comunemente.
E’ per questo che l’iperattivo, incompatibile col sistema scolastico a cui siamo abituati, necessita di un supporto e di una guida.
I bambini iperattivi, ovvero quelli a cui l’iperattività viene effettivamente diagnosticata dai medici, sono solo 1,5%. Perciò, caea mamma, non parlate facilmente e superficialmente di diagnosi di iperattività e non lasciate che lo faccia chi che sia.
Inquietudine interiore, ansia e ansia da prestazione, pressione emotiva – determinata dalla scuola, dai compiti a casa o dallo sport – possono indurre il bambino in una condizione di reazione personale e sociale tale da confondere il genitore. Il primo fattore da indagare dinnanzi agli stati di nervosismo del bambino è lo stress.
Una vita troppo sedentaria, in cui il figlio non abbia spazi per sfogare le proprie energie, può indurre ad una sospetta irrequietezza motoria: lo sport è una soluzione; le lunghe passeggiate un’altra; il rapporto con la natura e persino l’adozione di un compagno di giochi a quattro zampe sono una diversa alternativa.
Un bambino con un alto potenziale energetico va considerato in primis come un cucciolo d’uomo in cerca della sua strada e della sua identificazione sociale.
Pertanto prima di una diagnosi di iperattività fai da te – troppo spesso si sentono le mamme dire: “Mio figlio è un iperattivo!” – è bene indagare i bisogni del bambino e educarlo a canalizzare le sue energie.
Se un bimbo non ha mai dato problemi all’asilo mentre alle elementari pare irrequieto, non è diventato un elemento di disturbo sociale e in classe e nemmeno merita una diagnosi di iperattività (diciamo così scolastica), più probabilmente è solo un bimbo che accusa fortemente il carico emotivo della coercizione sociale a cui gradatamente deve imparare ad adattarsi. Deve cioè imparare che la società, a d un certo punto, limita la libertà individuale (ovvero il gioco libero dei bambini) in favore dell’educazione collettiva e dello sviluppo socio culturale.
Alcuni passaggi, come lo è questo, non sono semplici per i bambini. E’ importante che i cuccioli d’uomo non vengano “etichettati”, non prima di essere istruiti nell’utilizzo delle proprie energie.
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