David Vetter è passato alla storia come The Bubble Boy.
Ha vissuto i suoi 12 anni di vita “rinchiuso” in una bolla di plastica sterile perché affetto da una grave e rara malattia che gli rendeva impossibile ogni contatto con il mondo esterno e con le persone che lo circondavano, anche l’aria che noi normalmente respiriamo sarebbe stata per lui fatale.
David Vetter: la storia del bambino nella bolla.
Nel documentario che il New York Times gli ha dedicato nel dicembre del 2015 si scriveva:
<<L’epitaffio sulla lapide di David Phillip Vetter giustamente recita “Non ha mai toccato il mondo” ma il mondo è stato toccato da lui>>.
Questo perché le informazioni che il bambino ha lasciato in eredità alla comunità medica e scientifica hanno permesso loro di portare avanti ricerche e studi che consentissero a dare una speranza di vita a chi prima non ne aveva.
Ma David Vetter è stato soprattutto un figlio che nella sua breve vita ha potuto ricevere un unico e solo bacio dalla sua mamma.
Pochi secondi dopo la sua nascita, avvenuta il 21 settembre del 1971 presso il Texas Children’s Hospital, David fu messo all’interno di una bolla di plastica sterile.
Tale intervento si rese necessario a causa della sua malattia, l’immunodeficienza combinata grave (Severe combined immunodeficiency, SCID) caratterizzata dall’assenza dei linfociti T periferici, i globuli bianchi che ricoprono un importante ruolo del sistema immunitario.
In pratica, il corpo di David Vetter non era in grado di difendersi dagli attacchi di virus e batteri ed anche la più piccola particella o germe erano per lui mortali.
Per questo motivo non poteva toccare nessuno – solo poche persone entrarono in contatto con lui attraverso degli speciali guanti di plastica attaccati alle pareti della bolla – mentre gli alimenti, le bevande e gli oggetti a lui destinati dovevano essere completamente sterilizzati, compresa l’acqua con la quale fu battezzato.
Gli era vietato anche respirare la “normale” aria.
Inizialmente i medici che lo avevano in cura considerarono la sua bolla come una soluzione provvisoria che gli avrebbe permesso di vivere nell’attesa del trapianto di midollo osseo.
Tuttavia la sua donatrice, la sorella maggiore Katherine, non risultò compatibile al 100%, ciò spinse i dottori a proseguire le loro ricerca mentre il piccolo David continuava a vivere e crescere nel suo completo isolamento.
Prigioniero della sua bolla , ben lontano dal resto del mondo, David Vetter sopravvisse ben 12 anni, molto più di suo fratello maggiore.
Prima di lui infatti i coniugi Vetter ebbero un altro bambino, David Joseph Vetter III, nato il 5 maggio del 1970 e morto il 25 novembre dello stesso anno, anche lui affetto da immunodeficienza combinata grave.
Quando David compì 3 anni, venne installata una bolla in casa dei suoi genitori, a Conroe in Texas, solo così poté lasciare l’ospedale dove aveva vissuto fino a quel momento.
A 6 anni invece il bambino riuscì in un certo qual modo a “lasciare” la sua bolla, la NASA costruì per lui una speciale tuta spaziale, collegata alla camera speciale mediante un tubo, che gli consentì di camminare per un breve tragitto. David la usò circa 7 volte.
La vita di David Vetter cambiò nell’ottobre del 1983, quando i medici svilupparono una nuova tecnica di trapianto di midollo osseo che non richiedeva una perfetta corrispondenza tra donatore e ricevente.
Katherine, considerata ancora sua unica donatrice, avrebbe così potuto liberare il fratello dalla sua prigione di plastica.
L’intervento fu effettuato in una stanza di ospedale completamente sterilizzata, quello fu per David il primo vero contatto con il mondo esterno, ma soprattutto fu la sua prima occasione di poter finalmente riceve un bacio da sua madre.
L’intervento però non ebbe l’esito sperato, gli esami effettuati prima del trapianto purtroppo non rivelarono la presenza di un virus, di Epstein-Barr (EBV), nel sangue di Katherine che, una volta a contatto con il debole organismo di David, generò una serie di tumori che uccisero il bambino.
David Vetter chiuse i suoi occhi per sempre il 22 febbraio del 1984, 2 settimane dopo esser uscito dalla sua bolla.
Come detto in apertura di articolo, la comunità medica e scientifica è molto grata a questo bambino che ha permesso di sperimentare ed ottenere buoni risultati nel trattamento della SCID.
Tuttavia gli stessi hanno dovuto combattere contro chi li accusava della mancanza di etica del trattamento subito da David, vivere prigionieri di una bolla, evitando qualunque contatto umano non era considerato “vivere”.
Durante un dibattito del 1975, indetto dal reverendo Raymond J. Lawrence, direttore della formazione pastorale presso il Texas Children’s Hospital, i medici affermarono che “rinchiudere” il bambino nella bolla fu per loro un obbligo attuato al fine di preservare la vita del piccolo fino a quando non avrebbero trovato un modo per rendere la sua esistenza normale.
Una scelta forse eticamente discutibile che ha colpito e ancora oggi colpisce tutto il mondo.
Ed è proprio vero che David Vetter non ha mai toccato il mondo ma che il mondo è stato fortemente toccato da lui.
Qui di seguito 2 documentari realizzati su David Vetter, quello pubblicato dal New York Times
e quello realizzato dalla WBPB TV.