Parolisi dice il vero sulla scomparsa di Melania? Un cane molecolare lo confermerebbe
“Non vi è certezza né dell’ora né del giorno” dell’uccisione di Melania Rea: lo affermano, nella loro memoria difensiva, gli avvocati Valter Biscotti e Nicodemo Gentile, i legali di Salvatore Parolisi, il caporalmaggiore accusato dell’omicidio della moglie.
La difesa di Parolisi punta a demolire l’impianto accusatorio facendo leva proprio su quegli indizi che secondo le due procure di Ascoli e di Teramo sono le prove che incastrerebbero il caporalmaggiore.
Innanzitutto la non presenza di Melania a Colle San Marco il 18 aprile, nel giorno e nel luogo in cui Parolisi ha dichiarato di aver visto per l’ultima volta Melania prima della sua scomparsa, durante quella passeggiata che aveva organizzato quel giorno con la moglie e la figlioletta. Circostanza, la non presenza di Melania, dedotta dall’accusa in seguito ai tanti testimoni che hanno dichiarato di non aver visto né Salvatore né Melania né la bambina quel giorno sul pianoro. Circostanza che i legali di Parolisi mirano a smontare perché – dicono – “non ricordare di aver visto qualcuno non equivale a dimostrare che quel qualcuno non era presente in un certo posto”.
In secondo luogo, a dimostrazione della presenza di Melania a Colle San Marco, vi sarebbe il fiuto di un cane delle unità cinofile che si mossero fin dai primissimi momenti della scomparsa della donna. Il cane fiutò non solo le tracce di Melania, ma si diresse senza esitazione verso il percorso indicato da Parolisi e che sarebbe quello da lui dichiarato nell’indicare dove la moglie andò quel giorno prima di non fare più ritorno.
E ancora – si legge nella memoria difensiva -, se Parolisi fosse davvero l’omicida, quale logica avrebbe avuto lasciare agonizzante la moglie correndo il rischio che qualcuno potesse giungere sul posto e soccorrerla in tempo tanto da farla diventare la testimone del suo stesso tentato omicidio?
Né vale come prova contro Parolisi quanto dedotto dall’accusa a proposito di un buco nella mattinata del 19 aprile. Gli investigatori sostengono che quella mattina il caporalmaggiore tornò nel luogo del delitto per infliggere dei segni sul cadavere della moglie allo scopo di depistare le indagini. Ma – dicono i legali di Parolisi – durante quel buco, a quell’ora, il caporalmaggiore era al telefono con la sua presunta amante, in una zona di Folignano. Circostanza accertata dai tabulati telefonici. In seguito, Parolisi si recò in caserma e da quel momento non fu più solo, in grado quindi di tornare a Ripe senza essere visto.