Nell’accudire il figlio piccolo la mamma usa un linguaggio spontaneo e tutto suo,
diverso da quello che adopera per comunicare con gli adulti o con un bambino più grande. È un linguaggio particolare, semplificato, in cui i vocaboli usati sono ridotti e ripetitivi, la sintassi è molto elementare e l’intonazione delle parole è più accentuata.
Si chiama “baby talk” o “motherese” (tradotto in italiano con il termine “maternese” o “mammese”) ed è un registro linguistico molto speciale, che ha lo scopo di adeguarsi alle ancora limitate competenze comunicative del neonato facilitandogli al tempo stesso l’acquisizione del linguaggio.
Il baby talking ha una funzione educativa e ludica al tempo stesso: serve ad attirare l’attenzione dei piccoli, a stimolarli al gioco e alla relazione con gli adulti.
Una delle caratteristiche fondamentali del motherese consiste in una articolazione molto chiara della parole, che vengono pronunciate molto lentamente e con un’intonazione accentuata. Le frasi sono brevi e le proposizioni sono coordinate; le subordinate sono pressoché assenti. Inoltre, la comunicazione viene rafforzata dalle componenti non verbali: gestualità, mimica facciale, sorrisi, vocalizzazioni.
Si fa un sovente uso della terza persona (“Fai un sorriso a mamma”, invece di “Fammi un sorriso”; “Emma ha fame?”, piuttosto che “Hai fame?”) e di sostantivi rispetto ai verbi. Pochi gli avverbi. Le frasi sono più spesso affermative che negative, attive che passive.
Il motherese ha anche una funzione di sostegno e di rinforzo, guidando e completando l’azione del bambino. Così quando il bambino indica o dice “pappa”, il genitore completa dicendo: “Vuoi la pappa?”, “Eccoti la pappa”, “La pappa è buona, vero?”.
Diversi studi hanno dimostrato che si è più inclini a parlare in “motherese” quando ci si rivolge alle figlie femmine piuttosto che ai figli maschi, e che comunque sono le madri di livello socio-economico più alto a stimolare i propri figli attraverso un linguaggio più ricco e articolato, più legato all’età e basato su un lessico più ampio.
Ho sempre parlato ai miei bambini, descrivendo loro quello che stavo facendo, dal cambio del pannolino al massaggio sulla schiena. E mi accorgo che spesso ho usato il motherese per rivolgermi a loro. Su una cosa però non sono d’accordo: nel far uso della terza persona quando invece la regola sintattica impone l’uso della prima persona. Lo trovo comunque scorretto dal punto di vista grammaticale, e dato che i nostri figli imparano a parlare “copiando” anche l’uso dei nostri termini perché non iniziare fin da subito a parlar bene e con i sostantivi corretti?