Il parto apre il corpo della mamma, lo fa per liberare la vita che per nove mesi la donna ha custodito come un bene prezioso, come un miracolo, come un’aspettativa di gioia e come una speranza. Visto così il dolore della madre, la sua sofferenza, le sue attese sembrano tutte riassumersi solo nell’amore. C’è, però, un aspetto grigio nella nascita di un figlio che molte donne subiscono e poche sanno comprendere: la depressione post parto.
La depressione post parto è un male oscuro troppo spesso sottovalutato, tal volta negato e tal altra confuso con stanchezza e comune stress.
Le donne che ne hanno assaporato il dolore sanno che è un effetto collaterale dell’amore, della separazione dal bebè e dei nuovi equilibri necessariamente conseguenti alla nascita di un figlio.
Un figlio nato è una gioia, ma una mamma sa che è anche una rinuncia: è la rinuncia a quello stato di grazia in cui la maternità pone la donna ed è una rinuncia ai “progetti”, ai sogni e alle aspettative di gioia. Infatti, dal momento del parto in poi, tutto diviene realtà e nelle mani della donna è messa la concretizzazione del futuro della famiglia.
La nascita di un figlio è una responsabilità che si concretizza nel parto. La famiglia e la società rischiano, però, di trasformare le responsabilità della neo-mamma in un peso o in un banco di prova difficile da affrontare:
la mamma raramente è appoggiata e non giudicata; difficilmente nonne, suocere, zie e amiche si mettono a disposizione della madre “stando dalla sua parte”, più facilmente danno consigli, giudizi, pareri e emettono sentenze di cui una puerpera non ha nessun bisogno.
Nessuno ammette che quello del genitore è un mestiere che si apprende sul campo e nessuno confessa che, rispetto al compito di educare la prole, tutti abbiamo commesso degli errori.
Oltre ogni implicazione psicologica, la nascita di un figlio pretende uno sforzo fisico enorme e il parto può anche essere traumatico. Ciò senza considerare lo squilibrio ormonale che travolge la donna.
Il ventre non è più culla di vita ma nemmeno è più quello che era prima della gravidanza e del parto; il petto incomincia a produrre nutrimento e, assolvendo ad una funzione vitale per il bambino, chiede alla mamma una grossa disponibilità di tempo ed energie; il sonno diventa un’esigenza da calibrare con i bisogni e i bioritmi del bebè!
Con la nascita di un figlio la donna passa in secondo piano:
personalmente la mamma incomincia a ragionare seguendo le necessità del bambino e l’istinto di assolverne i bisogni. Per il mondo non è più lei stessa il centro di attenzioni e interessi perché ha già soddisfatto il compito di procreare e ora il bene supremo è il bimbo.
In parole povere, non si accarezza più la pancia della mamma ma il capo del bebè.
Tutte queste condizioni estrinseche ed intrinseche travolgono la mamma come uno tsunami.
Quello che ogni papà dovrebbe chiederà alla sua compagna dopo la nascita di un figlio e ogni giorno è: “Tu di cosa hai bisogno adesso?”
Una delle prime ragioni di “disagio” post parto risiede nella mancanza di ascolto: la donna si ritrova “inascoltata” mentre l’attenzione del mondo intero sta sul bambino. Il riconoscimento del bisogno della mamma, inteso come riconoscimento della sua singolarità e della sua forza, è quanto di più importante possa fare un padre per la sua famiglia.
Nella domanda: “Tu di cosa hai bisogno adesso?” c’è una ricerca di complicità e partecipazione, unione e condivisone, sacrificio e amore.
I padri potrebbero rimanere stupiti del fatto che la mamma dopo la nascita del figlio ha solo bisogno di una doccia, di andare a fare la spesa da sola, di lavarsi i capelli senza sgocciolare sul pavimento correndo dal bebè prima ancora del balsamo. Tal volta il massimo a cui aspira una madre è un caffè con un’amica.
Dopo la nascita di un figlio il benessere della madre vale quanto quello del bambino e se sta bene la mamma sta bene anche il figlio, ricordatelo.