Nel Regno Unito l’istituzione dell’obbligo scolastico al compimento del 5° anno di vita fu stabilita alla fine dell’ottocento per consentire alle donne di rientrare prima nel circuito produttivo. Per cui i bimbi inglesi incominciano la scuola primaria già a 5 anni, all’opposto Svezia e Finlandia fanno iniziare la scuola a 7 anni. Mentre i piccoli Italiani sono chiamati allo studio strutturato tra i 5 anni e mezzo ed i 6.
A che età è giusto incominciare la scuola primaria, ovvero a quanti anni il bambino è abbastanza maturo per avviarsi allo studio strutturato?
Iniziare la scuola a 7 anni equivale a perdere un anno oppure può significare guadagnare terreno in fatto di maturità e competenze?
Per affrontare bene e criticamente il discorso bisogna, almeno per un momento, prescindere dal punto di vista del bambino e fare un’analisi della scuola come istituzione sociale: la scuola si inserisce tra le attività che la famiglia deve organizzare ed è per i genitori che lavorano anche il luogo ove il bambino è accolto e custodito per diverse ore al giorno (anche dalle 8:30 alle 16:00).
In questo senso ogni genitore pretende dalla scuola (intesa come servizio sociale) che, oltre ad accogliere ed educare il bambino, sappia adattarsi anche alle esigenze della famiglia, assecondandone pure gli interessi.
In poche battute abbiamo compreso perché alla fine dell’ottocento l’Inghilterra decise di “anticipare” l’obbligo scolastico.
Il problema è capire se la scelta sociale collimi o meno con quella pedagogica,ovvero con gli interessi e i bisogni del bambino.
Rispetto al protagonista attivo della vita scolastica (che è sempre il bambino), è opportuno chiedersi se iniziare la scuola a 7 anni è preferibile rispetto ai 6 o, addirittura, ai 5 e mezzo stabiliti e concessi dalla legge italiana?
Il passaggio dall’asilo alla scuola elementare è cruciale perché il bambino è costretto a lasciarsi alle spalle un sistema di apprendimento ludico per aderire ad un sistema di apprendimento strutturato: il gioco lascia, infatti, il posto all’apprendimento propriamente detto “scolastico”, fatto di ordine, regole, attenzione e concentrazione. In altre parole, il bambino deve sottostare ad una disciplina meno flessibile e più improntata alla “costruzione” di un comportamento sociale adulto.
Ma il gioco non è meno importante dello studio, tanto più nella prima fase della vita del bambino quando, cioè, il piccolo deve entrare nei meccanismi del mondo.
Il gioco aiuta il cucciolo d’uomo ad allenarsi alla vita:
basti pensare che quando un bambino e una bambina giocano a fare mamma e papà già stanno metallizzando ed imparando i comportamenti degli adulti e ne stanno decodificando i codici sociali;
basti pensare che scarabocchiando, prima, e disegnando, poi, il piccolo acquisisce un vocabolario simbolico che è prodromico alla scrittura.
All’asilo il gioco, libero o guidato a seconda dei casi, veicola l’apprendimento. A casa, invece, svolge un ruolo fondamentale la collaborazione con la mamma e il papà, intesa come complicità nella partecipazione alla vita quotidiana nella quale il bambino può spesso trovare occasioni di gioco che si trasformano in opportunità di apprendimento.
Se, per esempio, facendo la spesa si chiede al bambino di 4 anni di contare le mele per la torta, si avvia una complicità familiare che è conoscenza e che fortifica le competenze acquisite alla scuola materna. E allo stesso modo il gioco veicola la conoscenza quando si domandi al piccolo di 5 o 6 anni di pesare la frutta digitando il codice. Mentre tra i 6 e i 7 anni i bambini possono leggere le date di scadenza.
Facendo in questo modo i tempi di una spesa al supermercato si allungano in modo esponenziale, ma il bambino ve ne sarà grato perché avvertirà di essere stato utile.
L’esempio del supermercato dimostra tre cose importanti:
attesta che il gioco è veicolo di crescita, conferma che il lavoro scolastico deve essere potenziato a casa e palesemente fa luce sul fatto che i bambini possono fare tante cose diverse in base all’età che hanno, più diventano grandi e più cresce la loro autonomia e consapevolezza.
Vediamo ora come tutto questo abbia a che fare con il nocciolo della questione qui affrontata: iniziare la scuola a 7 anni. Torniamo in Inghilterra dove, non molti mesi fa, l’Office for Standards in Education, Children’s Services and Skills, ha lanciato al governo e alle istituzioni una proposta-shock: ha chiesto di far principiare l’inizio dell’insegnamento formale a 7 anni anziché a 5.
Posti i modelli di Svezia e Finlandia, ove, appunto, la scuola dell’obbligo incomincia a 7 anni, è stato riscontrato che i risultati scolastici dei bambini che siedono tra i banchi “più tardi” sono mediamente ottimi, restando più alti anche negli anni dell’impegno universitario. Inoltre tra i bambini approdati allo studio strutturato più tardi il livello di stress da scuola appare più basso e quello di benessere psicologico, all’opposto, è più alto.
Ci sono ricerche scientifiche che comparano le competenze acquisite nel tempo dagli scolari che hanno iniziato le elementari in età diverse; tra le altre mi ha colpito molto una ricerca sulla lettura e sulla comprensione del testo: i bambini che iniziano a leggere e a studiare a 5 anni, dopo 6 anni circa (ovvero intorno agli 11 anni d’età) manifesterebbero meno interesse alla lettura e minori capacità di comprensione degli scritti rispetto ai bambini che hanno affrontato la scuola primaria dopo il 6°anno di vita o a 7 anni compiuti.
Quest’indagine è stata svolta da un’equipe di esperti in Nuova Zelanda.
Iniziare la scuola a 7 anni potrebbe essere un vantaggio in termini di maturità dello scolaro, cosa che faciliterebbe l’approccio allo studio e l’apprendimento.
Di maturità scolare tratta la pedagogia steineriana quando invita a riflettere sulle competenze del seienne che vive, secondo questo filone pedagogico, il suo “anno del re”.
Diciamo subito che alla pedagogia steineriana è ispirato un metodo educativo che nella scuola dell’infanzia mette in contatto le esperienze dei bimbi di età diverse. Negli asili steineriani le classi accolgono bambini tra i 3 e i 7 anni. E’ in questo confronto e scambio che l’anno del re manifesta tutta la sua importanza.
Secondo i fautori di questa teoria a 6 anni il bambino è pienamente capace di gestire la propria persona, sia sotto l’aspetto fisico che sotto quello emotivo e ciò lo rende capace di affrontare il mondo anche rendendosi utile.
Tornando al nostro esempio del supermercato, per ragionare attraverso un dato che le mamme possono confutare, se istruito sin da piccolo, il bambino di 6 o 7 anni potrebbe fare una piccola spesa completamente da solo.
All’interno dell’asilo steineriano il seienne è il “re” nel senso che è colui che iuta i più piccoli, spiega loro le dinamiche della vita sostenendoli nel momento organizzativo (per esempio a mensa) o aiutandoli nel gioco (per esempio spingendo l’altalena).
Un bimbo di 5 anni e mezzo o 6 anni che non si veda costretto ad “intrappolare” le proprie capacità sui libri di scuola può vivere l’esplorazione del mondo incarnando un nuovo ruolo che si sostanzia nell’essere “il grande”, colui che già sa fare e già capisce.
Questa libertà favorirebbe l’autostima e aiuterebbe il bambino ad arrivare con una maturità maggiore allo studio strutturato.
Io sono madre di una piccola anticipataria, non nascondo il fatto che il mio personalissimo interesse sulla possibilità di iniziare la scuola a 7 anni sia nato anche dall’osservazione di mia figlia e dalla considerazione del suo bisogno di gioco.
E’ certamente auspicabile che il bambino torni ad essere il centro di ogni nostro interesse sociale e culturale e che l’accesso al nido, come alla scuola dell’infanzia sia facilitato anche con un’offerta formativa capace di sostenere i bisogni delle famiglie con genitori lavoratori. Tuttavia sarebbe anche coretto “salvare” i bambini dalla frenesia del mondo e dalla corsa alle vittorie e alle conquiste. Il bambino merita il rispetto dei propri tempi e la scuola dovrebbe essere pensata come una strada che percorre questi tempi, senza pretendere, all’inverso, che il bimbo si adatti ai ritmi sociali subito (e forse troppo presto) “imposti”.
Pensare all’anno del re piuttosto che al raggiungimento della maturità sociale del bambino come requisito necessario per l’apprendimento è forse cosa buona e giusta che probabilmente affina la considerazione dell’avvio della scuola primaria. Tutto ciò considerato, iniziare la scuola a 7 anni non è, quindi, “impensabile”.