E’ di questi giorni la notizia di una bimba ricoverata in ospedale in gravi condizioni a seguito dello stress fisico riportato; il padre l’aveva “dimenticata” in macchina e invece di accompagnarla all’asilo, era andato a lavorare, lasciando la piccola nel suo seggiolino in auto in balia della calura cocente.
Non si tratta di un caso isolato; la cronaca ci riporta altri fatti analoghi. Altri episodi dai risvolti meno infelici, passano inosservati: bambini dimenticati al supermercato, nelle aree di servizio in autostrada, nei negozi, a scuola, ecc…
Un dubbio sorge spontaneo: perché un genitore che ama il proprio figlio, che usa il comportamento del “buon padre di famiglia”, espressione suggerita dal nostro legislatore, arriva a “dimenticarsi” della propria creatura?
Il senso di responsabilità che guida il movimento e il pensiero del genitore, non deve mai abbandonarlo, ma l’errore è in agguato e l’errore non perdona. Tutti almeno una volta nella nostra vita di genitori abbiamo percepito il peso della responsabilità come gravoso, vissuto con la paura di commettere un errore imperdonabile per una sbadataggine, disattenzione. La paura ha innescato quel meccanismo di attenzione e vigilanza che ha governato il nostro agire, permettendoci di “stare dentro la situazione” e di gestirla sfruttando al meglio tutte le nostre risorse.
Non sempre è così. A volte questo meccanismo non scatta.
La disattenzione, la superficialità non vengono contenute ed anzi governano il nostro operato, a volte l’errore è ridimensionabile, a volte fatale.
Ma perché tanta disattenzione? Perché perdiamo aderenza, contatto col terreno, lasciando che le fila della nostra vita ci sfuggano di mano, che le responsabilità evaporino, privandoci del senso di appartenenza alle situazioni che più ci stanno a cuore?
Viviamo in un mondo che viaggia e che non permette tempi di riflessione. Ci manca il tempo per godere di ciò che stiamo vivendo, perché già è giunta l’ora di pensare a qualcos’altro, a qualcosa di successivo. Il filo conduttore della vita non è più “vivere” ma organizzarsi per vivere. Compiamo un’azione mentre già stiamo pensando a ciò che verrà dopo … così la vita ci sfugge e ci travolge e noi diventiamo marionette e non più artefici del nostro vissuto.
Perdiamo il senso della vita, smarriti e travolti in una bufera incalzante che ci spinge sempre un po’ “più in là” rispetto a dove siamo.
E’ difficile seguire questo meccanismo, richiede dispendio di energie fisiche e mentali a discapito del resto, anche di ciò che per noi è fondamentale. E dunque?
Dunque ogni tanto mettiamoci in stand by, fermiamoci a pensare, impariamo ad ascoltarci e a capire ciò che veramente vogliamo, diamo valore a ciò che percepiamo come irrinunciabile e che spesso è dato per scontato.
E’ una pausa che serve come rinforzo della nostra persona, che ci avvalora, dando spazio alla nostra individualità, laddove la standardizzazione di massa sembra essere un trendy molto ambito.
Nell’intento di uscire dalla mediocrità, non ci rendiamo conto di operare per radicarla. Lavoriamo di più, per avere più soldi e più agiatezza…ma a discapito di che cosa? Per tornare a casa talmente stanchi la sera, incapaci di apprezzare la serenità familiare? Oppure talmente subissati di pensieri da esserne governati al punto tale da dimenticarsi la figlia piccola in macchina…..
Fermiamoci a pensare, a riflettere … ogni tanto fermiamoci e basta …