“Non ci posso credere!”, è il primo pensiero coerente. Il secondo é: “oddio, che ho fatto!”, e il terzo: “sarò in grado?”
Desiderare ardentemente un figlio non vuol dire essere capaci di fare il genitore.
Fisso le righette azzurre che mi avvisano di una gravidanza in corso e penso a tutti i film di Hollywood che hanno sfornato pazzi e maniaci depressivi a causa di un’infanzia infelice. A contarli non mi basterebbero tutte le dita, piedi compresi.
Qualche trauma l’ho avuto anch’io, ma tutto sommato mi sembra di essere cresciuta piuttosto normale:
33 anni, non ancora crocifissa, con una discreta “mens sana in corpore sano” e un posto di lavoro quale cassiera nel centro commerciale più “in” della zona. Abbiamo anche il reparto celiaci, per non parlare poi del vanto del direttore: la “zona allattamento e relax mamme”.
Io e Giusy, la mia vicina di cassa, siamo state le prime a provare le poltroncine morbide con il poggiatesta. Che sia stato di buon auspicio? Più delle immaginette che zia Maria mi spediva ogni mese? Avrei potuto farci un album Panini e, calcolando le doppie, anche uno da regalare al Prete.
Erano ormai più di due anni che io e Gigi tentavamo di concepire un figlio, ma ogni mese la stessa scena: io chiusa in bagno con il bastoncino magico che non mi regalava mai le tanto agognate tre righette e lui sul divano che fingeva di leggere il giornale.
Ne abbiamo provate di tutti i colori: dalle misurazioni di temperatura al mattino, ai test dei giorni fertili, dallo zabaione per risvegliare il vero uomo che si cela in lui, alla dieta vegana per spegnere il lato maschile che si cela in me. Niente sembrava funzionare e ora invece …
Proprio adesso che mi stavo abituando all’idea di restare orfana di prole, pronta a fare regali pazzeschi ai figli delle mie amiche e a organizzare una bella vacanza per riprendermi dallo stress di una non-gravidanza. Che tempismo!
Esco dal bagno leggermente stordita e, mentre comunico a Gigi che siamo incinti, penso che Frankenstein sarebbe stato più espressivo di me. Gigi salta sull’attenti e mi circonda con le sue forti braccia pelose, lo sapevo che tutto quell’eccesso di follicolo doveva pur significare qualcosa virilmente: finalmente ce l’avevamo fatta anche noi.
Lacrime di felicità mi solcavano le guance mentre Gigi prometteva di fare gli straordinari per comprargli la cameretta in tinta.