La vita può essere investita dalle tempeste più oscure e da dubbi insondabili che portano alle decisioni più dolorose.
Non si potrà mai capire abbastanza la drammatica decisione delle mamme che scelgono di non tenere con sé il proprio figlio, a loro però va tutta la solidarietà per la scelta di proteggere i loro piccoli nell’ombra, decidendo di partorire in anonimato.
Solo lontanamente può capire, chi non ha vissuto l’esperienza in prima persona, cosa possa significare ascoltare il proprio corpo che comunica con il proprio bambino per nove lunghi mesi e poi maturare la decisione di separarsene.
Nella drammaticità di tutti i fattori immaginabili, una certezza è garantita:
partorire nel più completo anonimato è possibile in tutte le strutture sanitarie nazionali.
“La legge consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’ospedale dove è nato (DPR 396/2000, art. 30, comma 2) affinché sia assicurata l’assistenza e anche la sua tutela giuridica. Il nome della madre rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”.
Questo va a scongiurare una doppia eventualità funesta: i pericoli per la mamma e per il bambino di partorire senza assistenza, magari in un luogo malsano e senza poter far fronte a complicanze e anche l’abbandono del neonato in fase post partum, senza le condizioni minime per assicurargli la sopravvivenza.
Purtroppo, ancora oggi, ci sono bambini abbandonati, salvati in extremis o purtroppo trovati morti e ogni notizia di questo tipo è una spada lancinante nel cuore di ogni persona umana, in particolare per le mamme.
Il bambino, dal momento in cui viene alla luce, è un soggetto giuridico che si deve tutelare, la cui salute, come diritto fondamentale, va garantita e se per qualsiasi motivo la mamma non se ne vuole fare carico, è possibile lasciarlo in tutela all’ospedale che se ne fa carico.
La legge garantisce questa facoltà e tutela anche alle donne sposate.
I servizi sociali daranno alla donna, tutte le informazioni relative alla sua scelta e la sosterranno nell’eventualità che invece poi decida altrimenti.
La dichiarazione di nascita è resa entro i termini massimi di 10 giorni dalla nascita e permette la formulazione dell’atto di nascita, quindi l’identità anagrafica, l’acquisizione del nome e la cittadinanza. In casi particolari e gravi si può riconoscere alla madre un tempo fino a sessanta giorni per il riconoscimento.
Se la madre invece vuole restare nell’anonimato la dichiarazione di nascita è fatta dal medico o dall’ostetrica a cui fa seguito la procedura per lo stato di adottabilità del neonato.
Molte donne si chiedono se la segretezza del parto sia una garanzia illimitata.
Di fatto lo è.
L’art. 28 della Legge 2001 n. 149, ha effettivamente introdotto anche in Italia, dopo molte polemiche, il diritto dell’adottato di accedere, a certe condizioni e con certe procedure, alle informazioni concernenti l’identità dei suoi genitori biologici.
In ogni caso, se la madre naturale, al momento del parto, aveva dichiarato di non voler essere nominata, il suo diritto è inalienabile e permane, prevalendo su ogni altra considerazione o richiesta. Questo fa sì che la garanzia della segretezza sia certa, per scongiurare qualsiasi dubbio.
E’ altresì vero che la legge n. 196 del 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) comunque stabilisce che devono passare 100 anni prima che i figli non riconosciuti e adottati possano chiedere l’identità dei genitori biologici. Dunque per quanto non impossibile, di fatto rimane un’eventualità assai remota.
L’opportunità di partorire in segreto ha senz’altro donato l’opzione della vita a molti neonati. Un’altra pregevole iniziativa in tal senso è quella delle culle termiche salvavita.
Fonte: Ministerodellasalute, Repubblica