Qualche giorno fa in redazione ci è arrivato il messaggio di una mamma che aveva letto un nostro articolo su come il bimbo in pancia sente le carezze della madre leggi l’articolo qui).
Aveva sollevato un argomento di cui più volte abbiamo trattato, ma che ci fa (mi fa) sempre piacere scrivere.
La mamma raccontava di quanto bello fosse, sì il sentire una creatura vivere e formarsi dentro il proprio corpo, ma di quanto diverso e altrettanto meraviglio fosse invece il percorso di una mamma che, per necessità o per volontà, un bambino non lo partorisce, ma lo adotta.
E’ stata una indelicatezza la nostra, di dare così ampio spazio a certi argomenti, non pensando a chi questi privilegi, ossia di partorire un proprio figlio, non li ha potuti avere?
E’ come se a un malato cronico tu non potessi raccontare che hai mal di testa per non urtare la sua sensibilità all’argomento malattia.
Però il messaggio ci ha dato lo spunto per ritornare su questo argomento: le adozioni.
Quante storie si leggono di adozioni, e magari di quante di queste si viene a diretta conoscenza, perché magari un vicino di casa, un parente o un conoscente ha adottato un bimbo.
Il percorso che porta ad adottare un bambino è sempre molto difficile.
Io sono mamma biologica di due bimbi, e ogni volta che si tratta l’argomento in famiglia mio marito dice sempre che forse lui non sarebbe stato capace di adottare.
Adottare un bambino è davvero un carico di responsabilità, alle quali molti che generano un figlio biologico forse non pensano.
Certo crescere un figlio è sempre una responsabilità, ma quando ti confronti con tutto quello che la procedura legislativa richiede per l’adozione, forse capisci di più di quale mole di oneri si sobbarcano due genitori che scientemente decidono di formare una famiglia.
Domande, visite, colloqui, incontri con giudici, psicologi, assistenti sociali, una trafila che serve a salvaguardare i bambini, una legge, quella 140/01 (e 476/98 per le adozioni internazionali) che “mette al centro dell’attenzione del Legislatore l’interesse del minore piuttosto che quello degli aspiranti genitori”.
E’ una definizione logica, ma vale la pena di ribadirla.
Quando si decide di far entrare in casa prorpio un bambino prima di tutto si deve essere pronti anche ad accogliere il suo bagaglio.
A meno che non si tratti di un neonato di pochi giorni, forse mesi, questo ultimo, anche se piccolo, porterà con sé la sua esperienza, che inevitabilmente è fatta di un trauma: quello della separazione.
E un piccolo non potrà mai capire le ragioni di questo. Necessariamente verrà segnato, nel corso di tutta la sua esistenza da questo taglio di cordone che è avvenuto, vuoi o non vuoi in modo doloroso.
Il compito dei genitori adottivi sarà arduo: dovranno fargli capire che questa sua condizione invece è definitiva, che loro lo ameranno, che lui sarà protetto, che loro hanno fortemente voluto lui.
I genitori poi, in molti casi dovranno essere pronti a certi atteggiamenti, che durante l’adolescenza questo verrà fuori: almeno una volta questi ragazzi diranno “Io non sono figlio tuo”, e la mannaia scenderà implacabile sulla testa di mamma e papà.
Lo dicono i figli, così come accusano a volte i papà o le mamme di stare tutto il tempo al lavoro, o di preferire l’altro fratello, o di non importarsi di essi in quanto figli. Lo dicono anche i figli naturali, bisognerà aspettarselo, e forse sarà il caso di farsi crescere il pelo sullo stomaco.
Al contrario invece, quando si adotta un bambino molto piccolo, i genitori saranno assaliti da un altro dubbio:
Quando dirglielo? E come?
A tal proposito ricordo che anni fa mi colpì molto un racconto, che si trasformò in libro, di Anna G. Miliotti, dal titolo “Mamma di pancia e mamma di cuore”.
Un libro che racconta di come al mondo esistano due tipi di mamme: la mamme di pancia, ovvero quelle che partoriscono, e le mamme di cuore, che amano il proprio bambino esattamente come le prime, anche se non lo hanno portato dentro sé per nove mesi.
Perché le mamme di cuore sono bellissime, ne ho vista qualcuna all’opera, e dalla loro esperienza ne ho tratto beneficio anch’io, che sono invece mamma di pancia.
Hanno una gran forza, una grande tenacia (e ce ne vuole), e un gran coraggio.
Proprio come tutte le mamme del mondo.