All’indomani della seconda Guerra Mondiale, nell’aprile del 1945, un gruppo di contadini e operai di un borgo vicino a Reggio Emilia, grazie ad un progetto di un Maestro di scuola elementare di nome Loris Malaguzzi, decide di costruire e gestire in maniera autonoma una scuola per bambini.
Grazie alla vendita di un carro armato, tre autocarri e sei cavalli tedeschi, viene costruita la scuola, e portata avanti da alcuni volontari, non esistendo ancora le figure che sarebbero state poi le educatrici della scuola della prima infanzia.
È la prima di una lunga serie di scuole che perseguiranno il cosiddetto Reggio Approach, il “Metodo Reggio”, che negli anni verrà considerato come il migliore al mondo per l’insegnamento negli asili nido e nella scuola dell’infanzia.
Dopo quella scuola Malaguzzi, laureato in Pedagogia,che nel frattempo divenne psicologo del Consultorio Medico Psicopedagogico Comunale di Reggio Emilia, ne aprirà altre, fino a che nel 1963 il comune stesso di Reggio Emilia decise di organizzare una vera e propria rete di servizi per l’infanzia, che includeva anche l’apertura dei primi asilo nido per bambini dai 3 ai 6 anni.
Fino a quel momento infatti le scuole, per lo più religiose, erano indirizzate all’insegnamento scolastico a bambini dai 6 anni in su, e Malaguzzi, e il suo metodo Reggio fu il pioniere di un approccio del tutto innovativo nel campo dell’educazione e della scuola.
“Una volta a settimana portavamo la scuola in città. Letteralmente, noi caricavamo noi stessi, i bambini, ed i nostri strumenti di lavoro su un camion e facevamo scuola e organizzavamo delle mostre all’aria aperta, nei parchi pubblici o sotto il portico del teatro comunale. I bambini erano felici. La gente guardava; erano sorpresi e facevano domande” raccontava lo stesso Malaguzzi, descrivendo i primi progetti.
Fu sempre lui a curare il primo testo laico per gli insegnanti nel 1971, e fu grazie a Malaguzzi che nel 1970 venne aperto, sempre a Reggio Emilia, il primo asilo nido comunale, per agevolare le madri lavoratrici.
Alla fine di quel decennio a Reggio Emilia il comune gestiva 20 scuole materne, oltre a 19 scuole materne paritarie, 7 scuole materne statali, 3 scuole materne delle opere di carità e 11 asili nido.
Oltre a Malaguzzi, nomi di spicco della pedagogia dell’epoca vollero portare il loro contributo. Fra tutti Gianni Rodari, che nel 1972 tenne un ciclo di seminari per bambini e insegnanti (da cui venne tratto il libro “Grammatica della Fantasia”).
In cosa consiste il metodo Reggio?
Malaguzzi fu il primo a pensare delle cose che oggi potrebbero sembrare ovvie, ma per quell’epoca erano davvero rivoluzionarie.
I bambini infatti, secondo il pedagogo, non imparano, a differenza della teoria di Piaget, soltanto interagendo con gli oggetti, ma essi stessi mettono in pratica tutta una serie di risorse di cui sono dotati, e interagiscono con l’ambiente, con gli oggetti, con altri soggetti, in quanto soggetti attivi e portatori di diritti e di bisogni.
Il sapere dunque si attiva con un processo di auto-costruzione, il bambino, essendo creatore di sapere deve essere lasciato libero di sperimentare, di interagire, di attuare un proprio percorso di apprendimento.
I bambini non sono più recettori passivi, ma attori principali del processo costruttivo, la loro conoscenza passa attraverso le relazioni con gli altri, essi conoscono “100 linguaggi”: verbali, tattili, visivi e tanti altri ancora.
I bambini stessi devono essere incentivati alla discussione, alla riflessione, alla realizzazione di soluzioni per i problemi che essi stessi incontrano.
Gli insegnanti non sono più dunque i depositari del sapere da trasmettere, quanto delle guide che interagiscano con questi nuovi soggetti aventi diritti. La priorità non è la materia da insegnare, ma l’attenzione del bambino.
Non bisognerà insegnare ai bambini di più di quel che riescono ad imparare da soli e non si dovranno esprimere giudizi affrettati.
Il sapere dovrà essere trasversale, e non settoriale.
Bisognerà avere in mente sì un progetto e degli obiettivi finali, ma passare attraverso un processo educativo, il progetto vale più della programmazione.
Si procede seguendo le necessità del piccolo, e si ripianifica e riconsidera in base a questo suo personale percorso.
La formazione dovrà passare dal confronto e dalla discussione
“I bambini costruiscono la propria intelligenza. Gli adulti devono fornire loro le attività ed il contesto e soprattutto devono essere in grado di ascoltare”, diceva Malaguzzi.
Questo nuovo approccio, che sicuramente oggi è praticato spesso in molte realtà, poneva anche i genitori in condizione di prendere parte attiva alle attività scolastiche, insieme al figlio e agli insegnanti: una triade chiamata a compiere delle scelte in funzione dell’apprendimento e della educazione del piccolo.
I genitori parteciperanno agli incontri con gli insegnanti, alle gite, alle attività, all’accoglienza di nuovi bambini e persino all’allestimento degli spazi comuni. I bambini poi potranno visitare i luoghi di lavoro dei genitori, o anche luoghi deputati allo svago e al divertimento come campi sportivi, piscine, parchi.
Questo per creare un senso di equilibrio e di inter-relazioni tra tutti i soggetti: famiglie, bambino, insegnanti.
L’idea della scuola di Malaguzzi e del metodo Reggio divenne anche essa oggetto di studio.
Tra queste idee, la necessità di lavorare in piccoli gruppi, per rafforzare non solo l’apprendimento, ma anche le relazioni sociali, e selezionare le attività più adatte ai piccoli.
La scuola è il cantiere nel quale si costruiscono piccoli soggetti, dove essi studiano, sperimentano, si evolvono, dove gli insegnanti insegnano non un programma ma un metodo di apprendimento.
Malaguzzi si convinse dell’importanza anche dell’estetica della scuola: un posto bello, dove poter “Sporcarsi” le mani.
La struttura dovrà essere formata da un ingresso, che offra informazioni e documentazione sulle attività e sulla scuola, da una sala da pranzo con cucina e da una “piazza”.
La “piazza” il luogo principale, dove si apprende, si svolgono le attività, ci si relaziona con gli altri.
Le aule dovranno essere utilizzate per piccoli o medi gruppi durante attività specifiche, e dovranno prevedere anche spazi affinchè il bimbo possa stare da solo.
Inoltre dovrà essere previsto un atelier, una sorta di laboratorio, con strumentazioni che possano far sperimentare ai bambini sensazioni tattili, uditive, visive, verbali e non.
La scuola dovrà prevedere un archivio per collezioni di oggetti, dischi, ausili audiovisivi e quant’altro concorrerà alla formazione e all’apprendimento dei piccoli.
I lavori dei bambini dovranno essere raccolti, per dare la prova tangibile e visiva del loro impegno e dei loro progressi.
Il metodo Reggio ebbe nel corso degli anni tutta una serie di riconoscimenti.
Nel 1991 la rivista Newsweek nomina l’asilo pubblico Diana di Reggio Emilia, il più avanzato al mondo, nel 1992 ottiene il Premio Lego e nel 1993 un altro importante riconoscimento americano
Sempre negli anni ’90 il Reggio Approach venne adottato in moltissime parti del mondo, soprattutto in Nord America.
Tutt’oggi negli asili Emiliani osservatori da tutto il globo vengono a imparare il metodo, e qualcuno addirittura addita questo pubblico come una possibile nota negativa per l’apprendimento degli alunni.
A proposito di contro, qualcuno avrebbe ipotizzato che questo metodo non può essere applicato, o non porta risultati sperati in quanto ci sono nozioni che vanno necessariamente insegnate con metodi tradizionali.
Inoltre un metodo così alternativo potrebbe destabilizzare i piccoli, che non avrebbero facilità nel momento in cui passano alla scuola primaria, dove l’insegnamento è di tipo tradizionale.
Certo il metodo Reggio, sebbene oramai sia una realtà consolidata, cozza leggermente con i metodi di insegnamento che molte scuole primarie si ritrovano ancora oggi.
Ma forse non è un limite del Reggio Approach, quanto piuttosto della scuola primaria, ancora incagliata a vecchi metodi educativi e nozionistici, che magari un novello Malaguzzi potrebbe un giorno tentare di scardinare.