Il fotografo americano Richard Johnson ha voluto partecipare con i suoi scatti ad un progetto chiamato “Weapon of Choice” (Arma di scelta).
L’idea, come recita il sito Hurtwords era quella di creare una rappresentazione visuale del danno emotivo che certe parole possono infliggere.
Nello specifico, i make up artists che hanno preso parte al progetto lo hanno fatto in maniera del tutto gratuita, ed hanno simulato nel volto dei protagonisti ferite e lesioni, con scritte sul corpo le parole che nella mente di chi le riceve bruciano e fanno male proprio come i colpi e le piaghe.
L’abusatore in questi casi sceglie le parole come le armi, da qui il nome del progetto.
Le offese sono proprio come armi in un arsenale, si scelgono, e feriscono come tali.
Ai partecipanti al progetto è stato chiesto di scegliere una parola da “interpretare”, che avesse uno specifico significato per loro, così gli scatti hanno preso ancora maggiore senso.
Questo progetto non è stato realizzato soltanto come campagna anti-bullismo, ma come una sorta di “confessione” per i partecipanti stessi.
In alcuni casi le loro storie sono state sorprendenti, non solo per lo staff del progetto, ma per i parenti stessi dei bambini ritratti.
E questo è stato un risvolto dai tratti importanti: cosa possono fare le parole che si infliggono, soprattutto ai più fragili
Queste parole venivano quasi sussurrate, come ad avere vergogna di esprimerle.
Parole come stupido, grasso, quattrocchi, ritardato, bambinetto, vigliacco, sgualdrina, brutto, inutile, vile, maiale.
Queste non sono solo parole, sono accuse vere e proprie, rovinano una reputazione,e potenzialmente una vita.
Spesso chi è il soggetto di queste ingiurie, finisce per crederci egli stesso, hanno un impatto devastante sulle persone.
E a vedere queste foto, c’è da riflettere: prima di pronunciare un insulto, che magari per noi non è grave, ricordiamoci queste immagini.