Un fotografo non è solo colui che sa usare tecnicamente la propria macchina fotografica ma è anche in grado di raccontare con le immagini, trasmettere emozioni, come chi scrive o chi parla, semplicemente usa un altro strumento.
Brenda Ann Kenneally è una fotografa e una brava ma definirla solo così è comunque riduttivo. Lei stessa si attribuisce il ruolo di “artista digitale popolare”.
Cosa vuol dire veramente? Cosa fa di speciale?
Kenneally ha vissuto a Troy, una città 140 miglia a nord di Manhattan. Ha vissuto esperienze negative e devastanti nella sua prima giovinezza: a soli 17 anni è rimasta incinta e ha subito un aborto, ha avuto problemi di droga e con la giustizia, ha vissuto diverso tempo in case famiglia. Dopodiché ha deciso di voltare pagina: ha iniziato a studiare per diventare una fotografa giornalista e sociologia all’Università di Miami.
Dopo la laurea si è stabilita a Brooklyn e ha iniziato a fotografare il mondo che le stava intorno, i suoi vicini di casa, le situazioni ai margini della società che lei stessa aveva vissuto tra la povertà e la droga.
Forse le sue precedenti esperienze l’hanno resa in grado di filtrare ciò che vede e di cogliere le situazioni in modo particolarissimo e molto profondo.
Si trovava proprio a Troy per un lavoro per il New York Times Magazine, nel 2002, quando ha incontrato Kayla, il primo soggetto del suo progetto “Upstate girls” (ragazze del nord). Da allora Kenneally ha continuato a documentarsi sulla situazione familiare di estrema povertà che colpisce molte famiglie di quella città, il dramma dei bambini abbandonati a loro stessi, mentre fumano e bevono caffè, a poco più di dieci anni.
Con la sua sensibilità e le sue capacità ha raccolto migliaia di fotografie, video e documenti.
Madri costrette a dare in adozione i propri figli o ad abortire, famiglie che vivono nella precarietà, nella depressione e in condizioni igieniche deprecabili.
“Tornare a Troy è stato come rivivere la mia stessa cultura, il mio background”
“Se vuoi creare un progetto devi documentarti e diventare la massima autorità nel campo, conoscere tutto di tutti e poi condividere il sapere.”
“Le fotografie son solo un modo di ricordarmi come ho imparato a vivere, non sono semplici oggetti da mettere in cornice, sono qualcosa di vivo che ha a che fare con la vita stessa.”
Lo scopo di Kenneally è anche quello di sottolineare le ingiustizie sociali presenti, il divario tra ricchi e poveri.
“Il mio progetto esplora anche il modo in cui il denaro diventi un sintomo di onnipotenza e un mezzo che separa gli uomini gli uni dagli altri. La povertà è uno stato emotivo ancora prima e di più di uno stato fisico, creato dagli strati di emarginazione che fanno sì che ogni persona venga catalogata e predestinata ad un certo livello di umanità.”
In realtà il lavoro di Kenneally non ha una fine, rimane un progetto continuo. Lei stessa ha seguito fotograficamente alcune donne anche negli anni successivi, quando hanno avuto figli, nuovi compagni, nuove esperienze.
Tutto il materiale passato e futuro verrà raccolto in una mostra e un centro documentale permanente per dare uno spessore concreto alla nuova povertà dilagante che non è solo quella di Troy.
Fonte: Slate, Upstategirls