Un pomeriggio caldo di 9 anni fa, il 2 luglio del 2005 Matilda Borin, una bimba di 22 mesi era in casa con la mamma Elena Romani e il compagno di lei, Antonio Cangialosi.
Erano nel casale dell’uomo a Roasio (Vercelli), la bambina dormiva, i due erano in una stanza attigua alla camera da letto dove era Matilda.
Il pianto della piccola fa accorrere i due: Matilda ha vomitato, la madre si allontana dopo averla lavata per stendere la biancheria a d asciugare.
Matilda resta con Antonio in casa, ma quando Elena fa rientro in casa Antonio le dice che Matilda sta male.
Chiamano l’ambulanza, ma per la piccola non c’è scampo.
Le indagini però non attribuiscono ad alcun motivo di salute la morte della piccola: un colpo alle spalle le ha leso gli organi interni, si parla di omicidio preterintenzionale.
Elena Romani viene subito sospettata, arrestata e processata.
Ma non è lei la colpevole: la donna, 39 anni oggi, con un nuovo compagno dal quale ha avuto 2 figli, viene assolta nei tre gradi di giudizio, e risarcita con 80 mila euro per aver passato 118 giorni in prigione.
Le accuse si girano nei confronti di Cangialosi: “E’ un soggetto aggressivo e violento, orgoglioso della propria prestanza fisica, incapace di comprendere l’assurda crudeltà del modo con cui si stava comportando” così recita l’accusa.
Antonio Cangialosi, ex bodyguard, oggi autotrasportatore, viene dunque accusato di avere ucciso la bambina con un colpo ben assestato.
E invece, è proprio di questi giorni la sentenza, il tribunale di Vercelli si esprime: non è stato lui ad uccidere Matilda.
Elena Romani crolla, non riesce neanche a parlare.
Lui, Cangialosi, occhiali scuri e completo elegante, passeggiava avanti e indetro nel palazzo di giustizia aspettando il verdetto.
Poi è letteralmente fuggito.
Chi ha ucciso Matilda?
Ha fatto tutto da sola?
Impossibile questa risposta, ma intanto gli inquirenti non hanno prove di colpevolezza per nessuna delle due persone che, oltre alla piccola vittima, erano in casa con lei quel triste giorno.
L’unica certezza, fino a oggi, è che non c’è ancora giustizia per una piccola di 22 mesi che non aveva altra colpa se non essersi sentita male quel 2 luglio di nove anni fa.