Anche con un caldo soffocante, il vento soffia sempre. Proprio come una asciugacapelli, e porta con sè un filo invisibile che ha distrutto tante vite.
Avenal, microscopica cittadina della California, poco distante dai grandi parchi come lo Yosemite, è quella che gli esperti chiamano la “zona calda” per la coccidioidomicosi, una malattia provocata dall’inalazione di un fungo che normalmente si trova nel suolo.
Il Fever Valley Center for Disease control la chiama epidemia silente: è la “Febbre della Valle”, oltre 20 mila infezioni nel 2011 negli Stati uniti, la maggior parte nel Sudovest, 10 volte di più che dal 1998.
Silente perché ben due terzi degli infetti non accusa alcun sintomo, e per fortuna la malattia non è contagiosa.
Ma ogni anno muoiono ben 160 persone, a causa del fungo che si deposita nei polmoni, e poi arriva al cervello.
Avenal è il centro dell’epidemia, tra le famose spiagge californiane e lo Yosemite Park, nella valle San Joaquin, un centro agricolo e nient’altro: un posto sperduto.
Il paesaggio è arido, e una foschia perenne pende sull’orizzonte, oscurando le catene montuose lontane.
Nella strada principale qualche segno di vita: dei ragazzi in bici, un caffè che vende panini a degli operai, un ritratto che ricorda a tutti il costo di questa malattia: una donna, Maria Eugenia Pena, morta ad appena 39 anni.
“Nei giorni di vento te ne accorgi di più –dice il fratello Osvaldo – respiri, e cerchi di non inalare la polvere. Per precauzione indossiamo una bandana”.
Ma evidentemente non è abbastanza. Anche i padri si sono ammalati della febbre della Valle (così si chiama la coccidioidomicosi).
Anche altri testimoniano questa terribile e silente malattia: e’ una delle peggiori esperienze che si possano vivere, in molti pensano di andare via da quella valle, mentre altri lo hanno già fatto, negli anni.
Si vive sempre nel panico, nella paura che si possa contrarre la febbre, ad ogni respiro.
Nella parte alta della città il tasso di infezione è ancora più alto, molti bambini vengono ricoverati al Children’s Hospital Central California, 90 minuti a nord.
Solo nel 2012 ben 61 casi diagnosticati di febbre della valle.
James Mc Carty, direttore della divisione pedriatica del centro infettivo dice: “Nessuno si spiega il perché, potrebbe essere l’aumento della popolazione nella zona, o l’influsso di cittadini senza difese immunitarie, ma la febbre continua a venire. Forse l’attività dell’uomo che aumenta la polvere, forse le piantagioni, o le costruzioni”.
L’infezione è spesso asintomatica, così la gente non si accorge di essere malata.
Nel giro di un mese alcuni sviluppano polmoniti, anche severe. Nell’1% l’infezione si diffonde al di fuori dei polmoni, nelle ossa, nel cervello, nella pelle. Ed è potenzialmente fatale.
Sebbene i numeri ufficiali diano a 20 mila i casi accertati di coccidioidomicosi, Mc Carty crede che il numero reale sia ben diverso: 150 mila.
Perché molti non accusano niente, e non effettuano alcun controllo.
I maggiori esposti al rischio infezione sembra siano i filippini e gli afroamericani, per ragioni ancora sconosciute, forse per differenze nel sistema immunitario.
La malattia non è facile da curare: esistono dei farmaci antimicotici per i casi più seri, ma alcuni pazienti non rispondono neanche a questi, e ci vogliono anni per uscirne, in molti sono costretti a prendere farmaci a vita.
A volte il fungo resta nel corpo per sempre, e l’infezione può avere delle riacutizzazioni nel corso della vita.
Qualche caso di febbre della valle si è verificato anche in Argentina nel secolo scorso.
Nella Valle di San Joaquin è apparsa intorno agli anni ’40. Durante la seconda Guerra Mondiale alcuni prigionieri tedeschi invocarono addirittura la Convenzione di Ginevra per essere deportati via da quel posto.
Dopo il terremoto che colpì Northridge nel 1994 si ebbe un picco di infezione, e nel 2001 10 marinai furono infettati durante un’esercitazione in Coalinga (California).
Anche nella prigione di Avenal si contano 40 casi di morte a causa dell’infezione negli ultimi 7 anni.
L’incidenza della febbre in quelle zone è mille volte la media della nazione.
Inspiegabilmente però anche in città a relativa distanza, della febbre non si sa nulla: a San Diego ad esempio, il rischio è talmente basso che nessuno sconsiglia viaggi, mentre ad Avenal l’allarme è perenne.
Il Centers of Disease Control ha mappato la zona, includendo ad esempio Tucson e Phoenix , anche se questa mappatura risale agli anni ’50, e l’area endemica potrebbe essere cambiata.
In genere i contadini e gli operai che lavorano nelle costruzioni sono considerati soggetti a maggiore rischio, ma questo purtroppo, come la cronaca ha insegnato, non esclude nessuno.
Nessuno che sia venuto in contatto con l’aria della valle.
Il Professor John Galgiani, che per 30 anni ha studiato la febbre, e ha fondato il Valley Fever Center for Excellence all’università di Tucson è un’autorità in materia: le sue stime indicano che il 3% di coloro che passassero un anno nella Valle di san Joaquin potrebbero contrarre l’infezione, e l’1% ammalarsi.
Anche le condizioni meteo possono influenzare il rischio diffusione: dopo un periodo di umidità le spore si disperdono più facilmente nell’aria.
Secondo Galgiani non è un problema di aumento degli edifici costruiti: “L’attività umana non sempre ha alcun effetto. Alcune zone infatti sono state più colpite dalla febbre, ma erano molto desolate.”
Non c’è un modo di sfuggire all’inalazione delle spore, soltanto una precoce diagnosi può fare la differenza, e aumentare al qualità della vita del soggetto infetto.
E la ricerca per un eventuale vaccino langue, a causa di mancanza di fondi.
Il vaccino è lontano, e gli abitanti di Avenal sentono sempre la minaccia nell’aria.
D’altronde, dice Osvlado nell’intervista alla BBC “Se spostano i prigionieri del carcere di Avenal, mi viene da pensare a come io davvero possa restare a vivere qui”.
Fonte: BBC