La legge 40 disciplina in Italia la procreazione medicalmente assistita.
Già all’indomani dalla sua entrata in vigore, il 19 febbraio 2004 la legge scatenò una serie di dibattiti a causa dei limiti che la legge stessa aveva messo sulla procreazione e sulla ricerca sugli embrioni.
Alla fine anche la Corte Costituzionale, a dieci anni dall’emanazione, ha stabilito l’incostituzionalità di questa legge.
Nello specifico, ha dichiarato illegittima la norma che vieta il ricorso a donatori di ovuli o spermatozoi esterni alla coppia in caso di infertilità totale (art. 4 comma 3, 9, commi 1 e 3 e 12, comma 1).
I tribunali di Catania Firenze e Milano avevano sollevato i dubbi di incostituzionalità, e la consulta si è espressa a favore delle molte coppie che durante questo decennio si sono viste negare ilk diritto alla procreazione, per le ristrettezze della legge.
A dire il vero già nel 2012 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si era espressa in materia, bocciando la legge, e adesso sembra che finalmente anche quest’ultimo ostacolo sia stato superato.
Si pensi inoltre a quale trafila fanno oggi le coppie italiane che non possono accedere alla PMA a causa di sterilità assoluta, magari aggravata da patologie o problemi medici.
L’Italia è l’unico paese dell’Europa occidentale ad avere una legge che proibisce la fecondazione eterologa, per cui, non appena le coppie italiane tentano senza successo la strada della PMA sul nostro territorio, ecco aprirsi il far west dei viaggi della speranza in Spagna o in altri paesi che “vendono” e anche a caro prezzo, la possibilità per questi di avere un bambino.
Un gamete può arrivare a costare anche 4.000 euro, il “turismo della riproduzione” coinvolge 4.000 coppie(l’Italia ha il triste primato in Europa con il 31%) che tentano la procreazione all’estero, e la speculazione è sempre dietro l’angolo
Attraverso una nota diffusa dall’agenzia stampa ANSA, l’associazione Luca Coscioni, associazione no profit che promuove la libertà di cura e di ricerca scientifica, ha ribadito il concetto di inoppugnabilità della decisione presa dalla Corte Costituzionale:
“La sentenza di oggi della Corte Costituzionale che ha cancellato il divieto di eterologa previsto dalla legge 40 del 2004 ha valore di legge e non è oppugnabile. Da oggi non potrà mai più essere emanata dal Parlamento una legge che prevede il divieto di fecondazione di tipo eterologa. Tale decisione vale per tutti i cittadini italiani che hanno problemi di sterilità. Nessun vuoto normativo, ma con la legge 40 così modificata, garanzie per i nati e per le coppie […] Ora sia i centri pubblici che quelli privati dovranno eseguire tecniche di fecondazione con donazione di ovociti e spermatozoi esterni alla coppia. Come prima del 2004, anno di emanazione della legge 40, sarà lecita l’ovodonazione; mentre qualsiasi uomo fertile potrà donare il proprio seme”.
Gli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini, difensori davanti ai giudici della Consulta, che hanno per primi sollevato dubbi di costituzionalità al tribunale di Firenze, hanno invece così commentato:
“Cade un divieto anacronistico che penalizza e discrimina proprio coloro che presentano forme di sterilità assoluta, non consente di realizzare il progetto genitoriale e di famiglia di tante coppie, impedisce l’esercizio di un diritto alla procreazione cosciente e responsabile come sancito in leggi nazionali e dichiarazioni internazionali. È ben evidente – riporta ancora l’ANSA – come il divieto generalizzato era del tutto sproporzionato rispetto alla rilevanza degli interessi in campo e ai rischi della tecnica che possono essere evitati con una adeguata normativa sul modello di quanto fatto in altri paesi europei”.
Della legge 40 restano in piedi però altri capisaldi, quali il divieto alla PMA per single e coppie omosessuali, il divieto di utilizzo degli embrioni a scopo scientifico
Infine, la Consulta dovrà presto esprimersi ancora su un’altra problematica legata alla legge, ovvero il divieto di accesso alle coppie fertili ma portatrici di patologie alla fecondazione medicalmente assistita, per scongiurare possibili gravidanze di feti malati, sulla quale la Corte Europea si era già espressa nell’agosto 2012, bocciando per l’ennesima volta l’Italia.