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Curare un familiare malato: I caregiver

di Dott.ssa Licia Falduzzi

17 Febbraio 2011

I caregiver sono coloro che si prendono cura di un familiare malato (in genere il coniuge, un genitore anziano o un figlio disabile), che soffre di una patologia cronica o degenerativa e che necessita di una costante assistenza, protratta nel tempo.

Anche se si tratta di una scelta basata sul legame affettivo che unisce chi cura a chi viene curato, prestare assistenza ad un familiare disabile è comunque un impegno molto gravoso in quanto:

  1. faticoso e stressante, sia da un punto di vista fisico sia da uno psichico;
  2. solitario, perché riduce drasticamente il tempo libero e le possibilità di contatto con gli altri;
  3. drammatico, perché a contatto con un lento ed inesorabile declino.

Tutto ciò provoca nei caregiver un senso di fatica e di oppressione (il cosiddetto “burden”) che spesso essi subiscono perché non ne sono consapevoli e che li espone a gravi rischi per la loro salute mentale e fisica, influenzando anche la loro vita sociale e lavorativa e incidendo negativamente sulla loro qualità di vita. Disagi elevati, alti livelli di ansia e depressione, problemi cardiovascolari, riduzione dell’efficienza del sistema immunitario, insoddisfazione per la propria vita sono alcuni dei problemi cui vanno incontro coloro che prestano assistenza per lungo tempo ad un familiare disabile.

Molte ricerche hanno però dimostrato che, anche se il grado di disabilità del familiare ha di certo un suo ruolo, i livelli di burden del caregiver dipendono soprattutto dalle sue caratteristiche: non è tanto la patologia del familiare assistito ad essere una possibile fonte di stress per il caregiver, ma come questi vive la situazione. Le variabili che determinano i livelli di burden sono:

– il sesso. Le donne riportano livelli più elevati di burden, anche perché sono spesso impegnate su due fronti, quello della cura dei figli e quello della cura dei genitori;

– l’età. I caregiver più giovani riescono meglio a gestire situazioni critiche, affrontandole con maggior ottimismo e bassi livelli di burden;

– le caratteristiche della personalità. Coloro che valutano gli eventi in senso positivo o che hanno una buona percezione delle proprie capacità nel gestire una situazione critica soffrono meno delle reazioni disadattive proprie del burden.

Nella nostra cultura, prendersi cura di un familiare disabile è un comportamento interiorizzato come un “obbligo”, un dovere nei confronti di determinate persone, ed in quanto tale è stato per molto tempo considerato normale. Ma negli ultimi anni è maturata la consapevolezza che questo tipo di lavoro è un lavoro impegnativo che vincola e logora chi è costretto ad esercitarlo, e che quindi vanno presi in considerazione sia i bisogni di chi è curato sia i bisogni di chi cura. Primo, perché lo stress a cui è sottoposto il caregiver può generare un circolo vizioso tra malattia del paziente, stress del familiare che cura e sua conseguente capacità di fornire cure adeguate. Fondamentale sarebbe, a tale scopo, predisporre una serie di aiuti e servizi per il caregiver, come ad esempio attività di informazione-educazione sul decorso della malattia e su come poterla affrontare, consulenza sul piano psicologico, creazione di gruppi di autoaiuto.

Secondo, è necessario creare una cultura in cui il “prendersi cura di” sia considerato un comportamento vissuto come positivo e arricchente, non come un triste destino o come un obbligo o, peggio ancora, come una sorta di punizione.

Il ruolo del caregiver deve essere valorizzato e reso visibile, riconoscendolo socialmente, ed è in questa direzione che si muove la proposta della sociologa Grazia Colombo di creare una Carta dei diritti delle persone curanti, basata sul riconoscimento del lavoro svolto dai caregiver, uscendo dall’invisibilità alla quale spesso è confinato, sulla garanzia di poter contare su servizi adeguati, sull’opportunità di mantenere il proprio lavoro, sulla formazione e aggiornamento come valorizzazione delle competenze informali di cura.



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