Con l’inizio della primavera le giornate si allungano, il buio è sempre meno, e l’equinozio dello scorso 20 marzo ha scandito l’ultimo giorno d’autunno, nel quale il periodo notturno è stato uguale al giorno.
E la prossima domenica infine ritorna l’ora legale.
La notte tra sabato 29 e domenica 30 marzo le lancette dell’orologio dovranno essere spostate un’ora avanti, dalle 2.00 alle 3.00.
Con il ritorno dell’ora legale guadagneremo un’ora di luce fino all’ultima settimana di ottobre, quando sarà ripristinata l’ora solare.
Già molti dispositivi elettronici come computer e cellulari sono predisposti per il cambio automatico dell’orario, mentre il nostro organismo, specialmente i primi giorni, potrebbe accusare questo mini jet leg, soprattutto dovuto all’anticipo della sveglia mattutina.
E’ vero anche che la standardizzazione degli orari è figlia della società industriale. Nelle civiltà agricole infatti i bioritmi dell’uomo erano strettamente connessi a quelli della natura, e dunque naturalmente le popolazioni rurali si alzavano quando sorgeva il sole, e seguivano così il progressivo anticipo primaverile.
Persino in epoca romana la cosiddetta ora prima era fissata con il sorgere del sole, a prescindere dunque da lancette e meridiane, e seguiva anch’essa i cicli terrestri
L’ora legale venne ipotizzata per la prima volta nel 1784 da Benjamin Franklin (L’inventrore del parafulmine ndr), il quale, con uno scritto espresse che era possibile risparmiare energia spostando le lancette dell’orologio.
Per la prima applicazione però si deve attendere oltre un secolo, quando nel 1916, a causa delle ristrettezze dovute alla prima guerra mondiale, la Camera dei Comuni di Londra emanò il British Summer Time, ovvero la prima ora legale della storia.
In questo modo si poteva godere la sera di un’ora di luce in più, tutto a vantaggio dell’economizzazione elettrica, tanto utile già da quegli anni.
In Italia l’ora legale venne stabilita con un decreto legislativo il 25 maggio 1916, ma la sua storia ebbe fasi alterne di attuazione e soppressione.
Tra il 1940 e il 1948 venne abolita e ripresa una serie di volte.
Il periodo di massima durata fu dal 14 giugno 1940 al 2 novembre 1942 ininterrottamente.
A Trieste ad esempio Tito vietò l’ora legale per far si che anche nella città vigesse l’orario della ex Yugoslavia.
Nel 1965 infine essa venne definitivamente adottata come misura contro la crisi energetica e imposta per legge.
Nel 1980 l’ora legale venne estesa da quattro a sei mesi, fissando come data di inizio la prima domenica di aprile, finchè nel 1996 venne introdotto l’orario che conosciamo oggi, ovvero dall’ultima domenica di marzo all’ultima domenica di ottobre, e la legge che allinea l’Italia agli altri Stati Europei recepita molto di recente, ovvero nel 2010.
Cosa opposta succede invece nell’emisfero australe, parte del mondo in cui le stagioni sono invertite: in Australia ad esempio l’ora legale è in vigore da ottobre a marzo, in Brasile da ottobre a febbraio.
Da un punto di vista del risparmio energetico, bisogna considerare che l’ora legale apporta un bel numero di kilowattora di risparmio: in Italia la Tema, società che gestisce l’energia elettrica ha stimato che dal 2004 al 2012 si sono risparmiati con l’adozione dell’ora legale qualcosa come 6 miliardi di kw/h, pari a novecento milioni di euro.
Da un punto di vista fisiologico, come già accennato, qualcuno può lamentare qualche disturbo dovuto al cambio del ciclo del sonno.
Nel nostro organismo infatti il cambio di orario produce anche una variazione di produzione di cortisolo (un ormone che influisce anche nello stress) e melatonina, importante nel regolare i ritmi di sonno veglia. Alcuni soggetti, soprattutto i più sensibili come anziani e bambini, potrebbero avvertire maggiore nervosismo, irritabilità e stanchezza.
Questi effetti si avvertono generalmente soltanto durante i primi giorni dall’entrata in vigore, dopo il nostro corpo si adatta a questo nuovo ritmo, e senz’altro più velocemente rispetto a quanto avviene al rientro dell’ora solare, in ottobre.
Il dottor Lino Nobili, responsabile del centro di medicina del sonno dell’ospedale Niguarda di Milano afferma: “Rilevante e’ l’aspetto psicologico. C’e’ un minimo di jet lag, e l’organismo necessita di cinque sei giorni circa per recuperare.
Essendo il ritmo del sonno regolato dalla temperatura interna, se spostiamo il nostro risveglio ci possiamo trovare in un momento in cui la temperatura non e’ ancora a livello ottimale e la sera si puo’ avvertire piu’ stanchezza. Aumenta pero’ la stimolazione luminosa in primavera, quindi anche la relativa stanchezza viene in parte compensata“.
E dunque passati i primi giorni non bisogna far altro che godersi il buon umore dato dalla maggiore luminosità e la ritrovata bella stagione