Dovranno rispondere dell’accusa di maltrattamenti i due gestori della casa-famiglia “Il Pettirosso” di Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso.
I fatti, che risalgono ad un periodo compreso fra il 2009 ed il 2012, sarebbero contenuti nei racconti e nelle testimonianze di quattro piccoli ospiti, di 10 anni d’età, che, puniti per aver “disubbidito” alle regole di condotta o aver preso brutti voti a scuola, avrebbero subito una serie di violenze fisiche e psicologiche come l’esser costretti a mangiare sapone e stare in ginocchio su sassi.
La coppia, che nega ogni accusa e che sostiene di aver “solo fatto i bene dei bambini” a loro affidati, dovrà comparire davanti al giudice il prossimo autunno.
I bambini, protagonisti innocenti di questa triste storia, sottratti alle famiglie d’origine ed affidati alla casa famiglia, avrebbero descritto l’incubo vissuto tra le mura di quella che doveva essere la casa in cui trovare un porto sicuro e le vessazioni fisiche e psicologiche subite da quelle persone che avrebbero dovuto invece prendersi cura di loro, come dei veri e propri genitori.
Quello dei bambini e adolescenti che vivono in affidamento presso comunità residenziali di accoglienza è un tema molto delicato e rilevante. Di loro, delle loro situazioni difficili e condizioni, se ne parla tanto negli ultimi tempi.
È di qualche mese fa l’interpellanza bipartisan presentata da Michela Vittoria Brambilla, Presidente della Commissione Bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza, in cui si è discusso di affidamento temporaneo, di segnalazioni e denunce di sospetti maltrattamenti o abusi su minori, di bambini ospitati in case-famiglia dalle condizioni igieniche intollerabili, di allontanamenti «troppo facili» dai nuclei familiari, di fiumi di denaro pubblico speso senza trasparenza.
«Alla commissione – ha detto Brambilla – arrivano continuamente segnalazioni e denunce su allontanamenti di minori dalle famiglie, troppo spesso disposti all’esito di analisi frettolose di separazioni conflittuali o di difficoltà economiche familiari, o sulle condizioni igienico-sanitarie di alcune case famiglia o peggio ancora su casi di maltrattamenti ed abusi in quel contesto. È tempo di fare chiarezza non soltanto sulle situazioni particolari, delle quali già si occupa la magistratura, ma su tutto un sistema caratterizzato, nel complesso, da poca trasparenza e troppa discrezionalità».
Nel documento si chiede di realizzare un censimento delle case-famiglia presenti su tutto il territorio nazionale, di istituire un apposito registro degli affidamenti temporanei, di vigilare sulle condizioni e sul soggiorno dei minori in queste comunità, anche avvalendosi delle forze dell’ordine, di render noto il numero di inchieste penali in corso a carico di gestori o operatori di tali strutture e le relative ipotesi di reato, di disincentivare il fenomeno dei cosiddetti «allontanamenti facili» dei minori dalla famiglia d’origine, di vigilare sulla gestione dei fondi pubblici stanziati per l’accoglienza dei minori nelle case famiglia e il loro effettivo e corretto stanziamento da parte delle amministrazioni locali.
Secondo l’ultima indagine dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, alla fine del 2010 in Italia erano quasi 30mila i minori “temporaneamente” fuori dalla famiglia di origine, accolti nelle famiglie affidatarie o in comunità (case famiglia).
Si tratta di minori allontanati, nel 37% dei casi, per inadeguatezza genitoriale, nel 9% per problemi di dipendenza di uno o entrambi i genitori, nell’8% per problemi di relazioni nella famiglia, nel 7% per maltrattamenti e incuria e nel 6% per problemi sanitari di uno o entrambi i genitori.
Minori sulle condizioni dei quali è arrivato il momento di fare chiarezza.