Il delitto Kercher diviene un film per la televisione.
La morte di Meredith, giovanissima, bella ed innocente, è stata “sceneggiata” per il piccolo schermo.
<< Perché? >>
Non appena ho appreso del film mi sono interrogata sul senso di uno sceneggiato che ricostruisca un omicidio tanto efferato e, consentitemi, insensato.
Vero è che i media sono versatili strumenti di divulgazione del sapere e certamente i saperi hanno molte forme, non può negarsi che è conoscenza e cultura la storia, la scienza, la medicina ma anche la cronaca.
Vero è che i film, attraverso il linguaggio visivo, sanno rendere fruibile a tutti il sapere e possono tradurre i fatti della cultura in un comprensivo discorso per immagini.
Vero è che ciò che accade, nello specifico il fatto di cronaca, rappresenta sempre il risultato dell’andamento della società e di essa si deve necessariamente discutere.
Tuttavia sarebbe superficiale pensare che si debba sempre parlare di tutto,
ancor di più mi pare improduttivo, se non morboso, pensare che, pur di sviscerare un fatto di cronaca, si possa parlare della morte in ogni modo.
In un momento storico in cui il dolore fa notizia e la violenza pure, la televisione sembra rincorrere la cronaca, volendo conoscere i dettagli più rossi e sanguinari, i profili più cupi e scuri. Ciò senza, però, valutare il risultato sociale di tali “indagini nere”, né considerando che è, probabilmente, tanto più importante capire le ragioni di un incessante caduta dei valori.
Mi domando dunque, in che misura ed in che modo la notizia può costruire cultura e quanto e come, invece, essa troppo spesso ingenera paure, diffidenze e rabbia?
Come può migliorare il mondo se dai suoi orrori non sorge coscienza sociale?
Il film incentrato sul delitto Kercher ha lasciato indignati i genitori. Non racconta semplicemente i fatti, ma ripropone con dovizia di particolari i momenti precisi del delitto.
L’esordio tv è previsto sul canale americano Lifetime per il prossimo 21 febbraio ed il trailer è già in rete.
Il signor Kercher, riferendosi alla scena dell’omicidio, ha definito la sequenza <<orribile>>
<< Sono anche sorpreso che siano andati così oltre: mi era stato detto che la sinossi del film si sarebbe fermata fino al momento dell’uccisione, ma mi pare evidente che queste immagini mostrino l’assassinio>>, ha aggiunto il padre della vittima.
La famiglia Kercher ha chiesto che la divulgazione in rete delle immagini dell’assassinio venga bloccata.
Il dolore “delle vittime“ – permettetemi di chiamarli in questo modo: vittime perché non c’è mai una sola vittima in fatti di sangue come questi – ha dunque un valore? Merita rispetto?
È giusto che una madre aggiunga al suo immaginario quello di un film? È giusto che veda la figlia morire in una finzione come questa, un film che si ripropone di ricostruire una realtà difficile e delicata, che nelle aule giudiziarie ancora trova ragioni di dibattimento?
La televisione ci ha abituati a “divorare” le notizie, adesso pretende da noi spettatori anche una resistenza al dolore?
Abbiamo conosciuto in diretta la disperazione di morti a cui nessuno vorrebbe assistere. Non sarebbe forse stato più umano lasciare che queste notizie giungessero privatamente nelle case che attendevano ritorni e non lutti?
L’eccesso di informazione è ricerca di emozioni? Il dolore e il pianto sono forse rimaste tra le sole e poche emozioni possibili?
Da madre penso a quei figli che non ci sono più, alla violenza delle loro morti e sento un dolore che è tanto più grande quanto maggiore è la sete di giustizia. Dunque la cultura e i suoi strumenti, televisione, telegiornali, carta stampata e web, cosa dovrebbero perseguire?
Nel mondo che vorrei realizzare per i miei figli le mani della cultura dovrebbero innalzare le istanze sociali e forse oggi la certezza della pena è un’istanza sociale, lo è il rispetto del dolore, l’attenzione ai sentimenti ed il pudore.