Ad un anno dal primo sciopero nazionale delle sale parto pubbliche e private (il 12 febbraio 2013), i ginecologi e le ostetriche italiani tornano a protestare e sono pronti ad incrociare di nuovo le braccia se Parlamento, Governo e Regioni non daranno “risposte adeguate” alle richieste che già un anno fa furono esplicitate: la messa in sicurezza dei punti nascita e una nuova legge sulla responsabilità professionale per limitare il contenzioso medico legale. Due richieste che a tutt’oggi – sottolineano le sigle sindacali dei ginecologi e delle ostetriche – sono rimaste “inevase”.
Per quanto riguarda la “messa in sicurezza dei punti nascita”, i ginecologi e le ostetriche denunciano come la sicurezza delle pazienti che si rivolgono ad alcune strutture sanitarie per partorire sia a rischio e ricordano che «le raccomandazioni previste dall’accordo Stato-Regioni del 2010 – dalla chiusura dei punti nascita che effettuano meno di 500 parti l’anno alla guardia ginecologica e pediatrica attiva h24, fino ad un numero adeguato di ostetriche nei reparti e alla predisposizione di sale operatorie vicino alle sale parto – non sono applicate in tutto il Paese».
Secondo gli ultimi dati disponibili del Piano Nazionale Esiti di Agenas-Ministero Salute aggiornati al dicembre 2012, 128 punti nascita (su un totale di 536 strutture tra pubblico e privato) effettuano meno di 500 parti l’anno, e sono concentrati soprattutto in Campania (21) e in Sicilia (19).
Dal 2010, quando l’allora ministro della salute Fazio parlò di 158 punti nascita da chiudere o mettere in sicurezza perché con meno di 500 parti l’anno, e quindi pericolosi – precisano i ginecologi – se ne sarebbero chiusi in realtà non più di una trentina, cioè meno del 20%.
Partorire in uno di questi punti nascita – ribadiscono i ginecologi – può essere molto pericoloso sia per le mamme sia per i neonati, la cui sicurezza è a rischio perché queste strutture non sono adeguatamente attrezzate per affrontare le urgenze ed i medici e professionisti sanitari sono costretti ad operare in condizioni a rischio, senza le moderne tecnologie e, talvolta, anche senza le apparecchiature indispensabili per una moderna medicina.
«Tutto questo impedisce ai professionisti di operare al meglio e con la dovuta serenità – dicono medici e ostetriche – esponendoli ai contenziosi medico-legali».
La mancanza di tutele assicurative, inoltre, “allontana sempre più dalle sale parto e dalle sale operatorie i giovani medici, che non possono far fronte alle spese esorbitanti delle polizze che sono costretti a stipulare anche semplicemente per apprendere la professione”.
La presa di posizione di ginecologi e ostetriche, che minacciano la replica dello sciopero del 12 febbraio 2013, ha già avuto l’adesione di numerose organizzazioni sindacali e associazioni scientifiche mediche.