L’attività sportiva fa bene ai bambini, ne beneficia il corpo e la mente. Ma come fa un genitore a scegliere correttamente lo sport più adatto a suo figlio?
Movimento, socializzazione e autonomia sono tre bisogni fortemente avvertiti dai bambini tra i 5 ed i 7anni.
I genitori rintracciano nell’attività sportiva uno strumento efficace per rispondere a tali necessità dei figli.
Lo sport consente al bambino di muoversi, gli permette di farlo stando insieme a bambini della sua stessa età e stringendo amicizie non scolastiche né familiari. Inoltre la pratica sportiva, purché sia scelta ed apprezzata dal bambino, consente al piccolo di identificare se stesso come calciatore, nuotatore, ginnasta, ballerina o ballerino concorrendo alla formazione dell’autostima e sostenendone i progressi del bimbo in termini di inserimento sociale ed emancipazione dal nido familiare.
Non esiste lo sport perfetto e nemmeno esiste uno sport completo o “omnicomprensivo”.
Molti genitori nella scelta della disciplina sportiva a cui iniziare il bambino tendono a partire da un’analisi dei vantaggi che lo sport teoricamente produce (o dovrebbe produrre) sul fisico dei piccoli atleti.
Ai genitori particolarmente attenti alla completezza dell’attività sportiva, la cultura popolare suggerisce il nuoto, disciplina comunemente considerata come onnicomprensiva.
In vero medici dello sport e pediatri sanno bene che nessuna attività sportiva può essere considerata completa per definizione. E neppure il nuoto lo è. Esso per esempio non affina nel bambino la coordinazione motoria rispetto allo spazio circostante, né perfeziona la cosiddetta propriocezione.
La propriocezione, essenziale nello sviluppo motorio, è sintetizzabile come la capacità del cervello di identificare la posizione del proprio corpo nello spazio decodificando passo dopo passo i movimenti che il corpo sta compiendo anche senza il supporto della vista.
Facciamo un esempio pratico:
durante le attività sportive compiute con bambini piccoli spesso si gioca a saltare, eventualmente anche da cerchio a cerchio.
Il salto, pensato come spostamento del corpo nello spazio, è compito dal bambino sulla base di una richiesta mossa dal cervello ai muscoli.
Poniamo che al bambino si chieda di saltare dal cerchio 1 al cerchio 2. Questa richiesta si traduce esattamente in uno di quegli esercizi che stimolano la propriocezione. Tale domanda infatti affina nel bambino la capacità di gestire gli spostamenti del corpo nello spazio imprimendo ai muscoli un ordine preciso e coordinato. Il bambino che si troverà nel secondo cerchio saprà bene identificare la sua posizione nello spazio e non avrà bisogno di guardarsi indietro per comprendere che è partito dal primo cerchio e si è trovato nel secondo.
Ecco che la capacità di saltare, quella di correre e quella di lanciare oggetti divengono elementi importanti nella pratica sportiva perché concorrono allo sviluppo motorio del bambino.
Tra i 5 e i 7 anni negli sport praticati dai più piccoli non dovrebbero mai mancare elementi come quelli appena citati, corsa, salto, lancio, a quest’età infatti più che nutrire talenti specializzati si deve curare la postura, la coordinazione del corpo nello spazio e il senso di libertà del bambino.
Tanto maggiore sarà il senso di libertà che il piccolo proverà nel praticare il suo sport tanto più efficace sarà la pratica sportiva dal punto di vista psicologico.
Il bambino si deve divertire e deve amare il suo sport.
Si cresce giocando, sorridendo e divertendosi per soffrire, fare sacrifici e patire i bambini hanno tutta la vita da adulti; perciò, sin tanto che saranno appunto bambini, è giusto che si divertano anche quando approcciano ad una pratica sportiva.
I genitori nella scelta della pratica sportiva a cui avviare il bambino considerano molti fattori, dopo i benefici teorici dello sport spesso valutano la fama dei maestri e quella dei centri sportivi, la collocazione logistica delle strutture nonché il livello di sicurezza, igiene e affidabilità delle stesse.
Attenzione: nell’elenco degli elementi da considerare e valutare va inserito anche il piacere del bambino.
Prima degli 8-10 anni nessuno sport dovrebbe essere né agonistico né specializzato, il bimbo piccolo praticando sport dovrebbe semplicemente divertirsi, liberare le proprie negatività, sostenere lo sviluppo posturale, acquisire e metabolizzare le basilari competenze motorie, socializzare e fortificare la propria autostima.
In che modo lo sport aiuta e rafforza l’autostima del bambino?
Il bambino che fa sport viene normalmente inserito in un gruppo di allievi coetanei o quasi coetanei.
Nell’iniziazione allo sport i due fattori primari che spronano il bambini sono il gioco e l’agonismo.
Attenzione: noi adulti siamo normalmente portati a interpretare il termine agonismo in senso “negativo” come competizione.
Nel bambino piccolo l’agonismo sportivo, sebbene esista come istinto naturale dell’uomo, deve essere tradotto positivamente in confronto e grintoso superamento dei limiti fisici.
La positiva traduzione dell’agonismo dipende tutta dal maestro: un bravo istruttore non pone i bambini piccoli in competizione tra loro ma è capace di mettere le qualità di ogni bambino a disposizione dell’altro affinché il gruppo raggiunga obiettivi comuni.
Due bambini piccoli in una gara di corsa non debbono essere rivali all’ultimo sangue ma devono liberare le proprie energie in un gioco in cui il ruolo di avversario non va estremizzato né enfatizzato.
In questo senso gli allievi di un gruppo sportivo devono fare squadra, osservarsi, imitarsi ma non invidiarsi o diventare antagonisti.
Perciò la scelta del maestro diventa probabilmente più importante della scelta della struttura sportiva e forse anche della scelta della disciplina in sé.
Un bambino che tragga soddisfazione dalla disciplina sportiva e che attraverso lo sport stringa positive amicizie con i compagni condividendo gioie e divertimento è, in ultima analisi, un piccolo cucciolo che pian piano cresce e si emancipa dal microcosmo familiare.
Maggiore è la soddisfazione che il bambino prova praticando sport, migliore è l’effetto che lo sport ha sulla crescita psicologica del piccolo: il bambino che matura la sensazione di riuscire nello sport cresce emotivamente rinsaldando la fiducia in se stesso e fortificando il suo ego.
In questo senso sgridare i bambini duramente, mortificarli nel confronto con gli altri, stressarli con allenamenti o obiettivi troppo impegnativi è semplicemente e radicalmente sbagliato.
Quando i genitori conducono i bambini a fare sport, qualunque sia la struttura sportiva a cui si rivolgono, è bene che osservino i figli nelle loro reazioni emotive. L’appagamento e la gioia del bambino ne indicano la soddisfazione e sono indicatori fondamentali del benessere dei piccoli.
Inutile insistere in una pratica sportiva se il bambino non è felice di allenarsi.
E soprattutto attenzione ai meccanismi di competizione che si innescano nei piccoli, ricordate che l’agonismo è una conseguenza naturale di ogni sport ma va gestito in chiave positiva. La gestione positiva della competizione sportiva è compito del maestro o dell’istruttore.