I grassi idrogenati sono agenti utilizzati dall’industria alimentare per fare in modo che il prodotto abbia determinate caratteristiche considerate più appetibili e funzionali.
Questi grassi rendono, ad esempio, più compatto o spalmabile un prodotto alimentare, oppure servono a conservarlo meglio e più a lungo. Dunque si creano prodotti più vendibili e che durano di più: una vera manna per il mercato.
Il processo di “idrogenazione” è stato ideato all’inizio del ventesimo secolo e avviene grazie all’utilizzo di specifici catalizzatori che sottopongono la miscela di oli e grassi animali ad elevate temperature e pressioni, fino ad ottenere acidi grassi chimicamente alterati.
Principalmente sono grassi che si trovano nelle margarine e in molti alimenti di origine industriale.
Da tempo si è capito che questi grassi trans sono però estremamente dannosi per il nostro organismo e il consumatore attento cerca di evitarli.
Si tratta sostanzialmente di grassi modificati che interferiscono in modo pesante sui meccanismi di regolazione del colesterolo che avviene nel fegato, tendendo ad aumentare quello cosiddetto cattivo e diminuendo quello buono. Questo processo espone il nostro organismo a malattie cardiovascolari gravi e ad altre patologie a carico del metabolismo.
Purtroppo la soglia di pericolo per queste sostanze è molto bassa, ciò vuol dire che basta anche una minima assunzione giornaliera, spesso inconsapevole e “banale”, per arrivare già in zona rischio.
Il mercato si è mosso in tale direzione, sviluppando la commercializzazione di molteplici prodotti sostitutivi che puntano sulla qualità del prodotto e pubblicizzano l’assenza di grassi idrogenati.
C’è però da aggiungere e sottolineare che la presenza di soli grassi NON idrogenati NON è sinonimo di genuinità del prodotto.
Attualmente l’industria alimentare utilizza tecnologie alternative per non utilizzare grassi idrogenati, mantenendo però le caratteristiche commerciali di questi ultimi.
Normalmente si utilizzano due processi alternativi: il frazionamento o l’esterificazione intermolecolare.
Nel primo si separa un olio vegetale in diverse componenti, frazioni, caratterizzate da un diverso grado di solubilità. La frazione più solida è particolarmente resistente all’ossidazione e viene utilizzata per produrre margarina e grassi vegetali in genere.
Chiaramente questi prodotti non sono comunque soddisfacenti dal punto di vista nutrizionale e salutistico perché il prodotto di partenza è già degradato, perché si parte da un olio raffinato, inoltre si utilizza la parte più conservabile, qualitativamente inferiore e ricca di grassi saturi altrettanto pericolosi per il colesterolo e le malattie cardiovascolari derivate.
Per quanto riguarda l’esterificazione, si va a modificare la struttura chimica dei trigliceridi ridistribuendo gli acidi grassi che li compongono, si manipolano letteralmente le caratteristiche fisiche di un olio per renderlo più “commerciale”.
Ad esempio lo si rende semisolido aumentando la temperatura di fusione. Anche in questo caso si aumenta in modo esponenziale la presenza di grassi saturi e ciò che ne comporta per la nostra salute.
Anche i prodotti che contengono grassi non idrogenati sono dunque manipolati artificialmente e ben lontani dall’essere innocui, spesso derivano da oli di qualità già scadente, spesso olio di cocco o palma e, tutto considerato, sono solo di poco migliori ai grassi idrogenati, oltre ad avere notevoli implicazioni ambientali devastanti per l’uso di alcune materie prime nocive.
Come sempre, i prodotti più sicuri sono quelli più deperibili ma fatti con grassi insaturi o polinsaturi come olio extra vergine d’oliva certificato, altri oli di sicura origine e non tropicali (diffidare dalla semplicistica dicitura “oli vegetali”), o prodotti biologici.