Sapere il sesso del proprio figlio è diventato ormai prassi consolidata grazie alle moderne ecografie.
Oggi esistono ecografi tridimensionali che riescono non solo a riconoscere il sesso del nascituro, ma addirittura a dare immagini nitide e a mostrare ai genitori persino la forma del volto.
Sino alla scorsa generazione, cioè molte mamme che stanno leggendo nate tra la fine degli anni ‘60 e gli inizi dei ’70, il parto riservava la sorpresa del maschietto o della femminuccia, per non considerare poi quante patologie l’ecografia e tutte le altre indagini diagnostiche hanno permesso di scoprire durante la vita intrauterina.
Oggi però ancora qualcuno, non vuole smettere di immaginare il proprio figlio fino all’ultimo giorno di gravidanza, e decide di non avere svelato il sesso del nascituro.
Chi avrà ragione?
Ci sono aspetti positivi in entrambe le posizioni, ma anche implicazioni sia pratiche che psicologiche nel volere o meno sapere di che sesso sarà il proprio figlio.
La neuropsichiatra e psicanalista Monique Bydlowski specialista della maternità, racconta alla rivista francese Psychologies Magazine: “per l’uomo, non portando il figlio in grembo, la gravidanza resta sempre un po’ poco concreta”.
Certo l’uomo non ha le stesse percezioni che hanno le donne durante la gravidanza, che la vivono fisicamente, ma sostanzialmente il materializzarsi dell’idea del figlio avviene principalmente anche per la donna quando sa se sarà un maschietto o una femminuccia.
Ricordo di un’amica alla quale avevano rivelato attraverso l’ecografia che il feto era un maschio intorno al terzo mese di gravidanza.
Il medico successivamente invece revocò il precedente risultato annunciando che sarebbe stata una bimba.
La mia amica entrò nel panico: non riconosceva più questa bambina, nonostante non l’avesse ancora vista. Oltre ad averle dato un nome da maschio e ad avere già comprato il corredino, le si era materializzato nella mente questa idea di suo figlio, che adesso vedeva sgretolarsi. Naturalmente alla nascita fu felice di abbracciare la sua bella principessa, ma ci furono attimi di sbandamento ad un certo punto della gravidanza!
L’esperienza di questa mia amica è confermata dalla dottoressa Bydlowski: “Anche le donne spesso hanno bisogno di convincersi di avere una creatura vivente nella pancia, di rendersi conto che i movimenti che sentono sono quelli di un bebè. E sapere se si tratta di un bambino o di una bambina rende tutto molto più concreto”.
Certo le ecografie nacquero per scopi medici, e dunque oggi le donne in gravidanza si sottopongono a queste indagini non per sapere di che colore comprare il corredino ma molto più seriamente per analizzare eventuali anomalie o patologie.
A volte sapere se il proprio figlio sarà un maschio o una femmina spinge i genitori a proiettare i propri sogni già al feto: ambizioni, desideri, aspirazioni magari non realizzate, tutto questo viene trasposto al nascituro.
Ma è anche un modo per prepararsi alla genitorialità: ovviamente le mamme già sanno intrinsecamente, ma potere pianificare chi e come si dovrà occupare del bambino rende l’idea più confortante anche sul lato psicologico.
E poi sapere se il bambino che nascerà è maschietto o femminuccia consente il disbrigo di faccende pratiche molto più agevolmente: corredino, bomboniere, scelta del nome, insomma sarà poco romantico, ma è sicuramente molto più pratico
Di pensiero opposto sul comunicare il sesso del nascituro ai genitori è invece il dottor Roger Bessis, stimato professore francese e antesignano di ecografia nel suo paese, anche lui invitato a commentare sulla rivista Psychologies Magazine:
“Non è un’informazione medica, e rischia di creare problemi durante la visita. Io non comunico mai il sesso prima della fine dell’esame. Altrimenti, le pazienti si distraggono, cominciano a inviare sms ai familiari e agli amici, e si disinteressano dell’essenziale: la salute del feto. E, se per caso c’è un problema, non se ne accorgono perché non stanno a sentire”
Il dottor Bessis considera inoltre che essere genitori lo è a prescindere dal sesso del proprio figlio.
Sicuramente il problema di sapere o meno il sesso del proprio figlio subentra quando la domanda assume un tono angosciato: vogliono assolutamente saperlo perché impazienti di proiettarsi in questo loro nuovo futuro, o, al contrario, non vogliono saperlo perché rifiutano di confrontarsi con la realtà.
Sylvain Missonier, psicanalista e professore di psicologia clinica prenatale all’università di Parigi sul tema esprime un suo giudizio: “Quando si ha timore della risposta, sapere può aiutare i genitori a prepararsi, a distaccarsi da un bambino solo immaginario per incontrare invece quello reale. In molti casi, poi, sapere il sesso accelera l’investimento psicologico dei genitori nei confronti del nascituro, che in questo modo possono organizzare la loro rappresentazione del bebè”. Come se organizzarsi mentalmente consentisse di accettare la realtà, anche quando è diversa da come lo si era immaginata (e allora finiti i sogni di avere un astronauta in casa ci si dovrà confrontare con l’idea di avere una ballerina).
Inoltre l’idea di che un genitore si fa di un figlio è una cosa naturale, visto che necessariamente un figlio non è asessuato.
Ci si immagina il loro volto, il loro corpo, ma anche il loro futuro, si trasferiscono su di loro le aspirazioni, le speranze, le emozioni
E forse sapere il sesso potrebbe contribuire anche a distaccarsi dall’idea di bambino immaginario.
Infine, con o senza ecografia 3D, la sorpresa della nascita, il mistero della vita è talmente avvolto da bellezza e suspense che nessun ecografo toglierà mai la magia dell’evento.